
Francamente senza essere animati da un desiderio di caccia alle streghe, da spirito di rivalsa o, ancora, da un substrato ideologico, la difesa che tutte le associazioni cinema e audiovisivo hanno fatto di Nicola Borrelli, appena dimissionato dalla direzione del settore dei Beni culturali, è fuori luogo. Anzi ha quasi dell’incredibile: come si fa a spezzare una lancia in favore dell’uomo che ha messo la firma su una pratica che ha assegnato 863mila euro di tax-credit a Francis Kaufman? Cioè un personaggio che potrebbe essere il protagonista di un film dell’orrore, che andava in giro con altre due identità fasulle pronte all’uso per la sua carriera cinematografica (Rexal Ford) o per affittare una barca (Matteo Capozzi) e che è inquisito per l’assassinio della compagna e di una bambina di pochi mesi lasciate marcire a villa Pamphili. È una difesa che non va solo contro il buonsenso ma che dimostra come in quel mondo si è superato il senso del limite. Un mondo che dovrebbe rappresentare la realtà, cibarsi di realtà, ma che appare, appunto, talmente separato dalla realtà da non capire che quando è troppo, è troppo.
La verità è che assistiamo allibiti al decomporsi di un sistema marcio. Qui non si tratta di destra o sinistra, ma di consuetudini viziate, di regole sbagliate e applicate male. In questo strano Paese - senza addentrarsi in una facile retorica - se vuoi un mutuo per comprare una casa o un finanziamento di poche decine di migliaia di euro per acquistare un auto devi armarti di santa pazienza e fare un pellegrinaggio: devi dimostrare alla banca, com’è giusto, che sei un cliente solvibile. Invece, l’ex-direttore generale del cinema si difende spiegando che la pratica del film di Kaufman era formalmente in regola: ma come faceva ad esserlo se addirittura l’identità di chi ha usufruito di un centinaio di migliaia di euro di finanziamento indiretto era falsa? E ancora: Borelli osserva che anche la Banca che poi ha erogato il credito non ha battuto ciglio.
Ma anche questa è una scusa di Pulcinella: la garanzia per la Banca era il decreto del ministero che assegnava il finanziamento. Era lo Stato, cioè il ministero dei Beni Culturali, che garantiva per Kaufman (nella foto) alias Rexal Ford.
Siamo, insomma, al paradosso dei paradossi. A una sceneggiatura degna del film di Woody Allen «Prendi i soldi e scappa».
Difendere un sistema del genere non è solo azzardato, ma ridicolo. Un sistema bacato fin dall’inizio che il lassismo determinato dal periodo post-Covid ha reso letale per le Casse dello Stato. Un meccanismo perverso come il super-bonus che ha provocato un buco di 200 miliardi nel bilancio. Con una differenza, però, almeno di quei finanziamenti hanno beneficiato anche semplici cittadini per restaurare le proprie case. Qui a leggere le cronache si sono finanziati film, come quelli di Relax Ford, che non sono mai stati girati. Ci sono pellicole con finanziamenti per 700 mila euro che sono stati visti nelle sale da 29 spettatori. Nel 2023 hanno ricevuto finanziamenti 398 film. La Guardia di Finanza sta indagando su 132 di questi casi.
Eppure c’è chi ancora fa lo struzzo, mette la testa sotto la sabbia. Se investi in difesa e in sicurezza con tre guerre ai confini ti accusano di privare di risorse il welfare. Ma per il mondo fantasmagorico del cinema è lecito anche gettare i soldi dalla finestra. La verità è che bisognerebbe riformare il sistema di sostegno al cinema dalla testa ai piedi. Costruirne uno nuovo magari al di fuori di quel luogo oscuro, di quel labirinto tetro che è il ministero dei Beni Culturali.
Spazzare via incrostazioni, complicità e combine. Introdurre un minimo di oggettività e di meritocrazia: perchè nel Belpaese chi si alza al mattino ed è stanco della vita che fa o si dà alla politica, o si dà al cinema. O a tutte e due le attività.
Non guardare in faccia questa realtà è assurdo.