La stanza di Feltri

L'aborto è un diritto ma anche una ferita

Nessuno sta valutando di tornare indietro e di annullare il riconoscimento del diritto della donna di interrompere la gravidanza quando questa è non desiderata

L'aborto è un diritto ma anche una ferita

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Gentile Direttore Feltri,
perché si sta parlando tanto di aborto? Stiamo forse mettendo in discussione la libertà della donna di scegliere l'interruzione di gravidanza? Sarebbe grave se questo accadesse, ma è grave anche valutare di potere eventualmente cancellare questo diritto. Lei cosa ne pensa?
Milena Lucchesi

Cara Milena,
nessuno sta valutando di tornare indietro e di annullare il riconoscimento del diritto della donna di interrompere la gravidanza quando questa è non desiderata. Si tratta di una conquista giuridica fondamentale, che ha segnato pure l'emancipazione del genere femminile e l'abbattimento di quel pregiudizio che vedeva nel corpo della donna una sorta di proprietà di cui dovesse disporre l'uomo, come ancora accade, purtroppo, nelle società islamiche. Penso che rendere l'aborto legale abbia costituito soprattutto un progresso in materia di salute, visto che è stata così debellata la pratica dell'aborto clandestino, che rendeva l'esperienza dell'interruzione di gravidanza ancora più violenta, traumatica, addirittura pericolosa e mortale.

Quindi no, assolutamente no e poi ancora no: la scelta di abortire è una scelta sacrosanta che spetta alla donna e che ciascuno di noi è tenuto a rispettare a prescindere dal suo orientamento religioso o ideologico. Tuttavia, sia concesso a chiunque di dire la propria, ossia di dichiararsi contrario all'aborto. Nessuno di noi può essere criminalizzato per le sue opinioni, nemmeno quantunque uno di noi dichiari che uccidere un embrione è un abominio.

Intendo essere sincero: mi inorridisce che un feto possa essere risucchiato, aspirato, gettato nella spazzatura. Decenni addietro io e mia moglie, Enoe, stavamo per abortire il quarto dei nostri figli, recandoci in una clinica in Svizzera. La sera prima ci siamo guardati e abbiamo capito che non avremmo mai potuto farlo. È nata così la mia, anzi la nostra Fiorenza. E mi capita di pensare ancora al danno che avremmo prodotto se non avessimo avuto questo ripensamento. Nelle nostre vite non sarebbe mai arrivata Fiore. Riflettere su tutto questo mi provoca tuttora una fitta al cuore. E provo una tenerezza infinita.

Ogni tanto questa tematica torna ad essere posta all'ordine del giorno e ce ne occupiamo e dibattiamo e ci infervoriamo. Di aborto si discute periodicamente e sempre se ne discute male. Riteniamo che sia un diritto della donna quello di spezzare la gravidanza, ma non specifichiamo mai che questa decisione, pure quando è consapevole e libera, comporta spiacevolissime conseguenze. E questo è il motivo per il quale il vocabolo «diritto», per quanto sia corretto, mi suona sgradevole, allorché si tratta di aborto. Mi chiedo: possiamo definire «diritto» qualcosa che distrugge chi quel diritto lo esercita?

Sono convinto che occorra fare di tutto per diminuire il numero di aborti in quanto dietro ognuno di questi c'è una donna, una ragazza, una madre in nuce o anche compiuta, una storia di sofferenza, di dolore, di rinuncia, una ferita che, in fondo, accompagnerà a vita coloro che intraprendono questa strada. E mi rammarica che queste donne vengano sempre giudicate, etichettate, considerate insensibili, fredde, incapaci di essere materne.

Sarebbe auspicabile, nell'era in cui i profilattici vengono venduti ovunque, persino al supermercato o presso i distributori automatici, e in cui è possibile assumere farmaci anticoncezionali o anche la famosa «pillola del giorno dopo», che il rischio di incorrere in gravidanze non volute venisse abbassato drasticamente. E questo può avvenire solamente puntando alla diffusione di una educazione sessuale e allo sviluppo di un senso di responsabilità e di amore della donna verso se stessa, che è padrona del suo corpo non solo quando abortisce ma anche nell'atto che precede l'aborto, ossia quello del concepimento. Odio quelle espressioni quali «mi ha messo incinta» che sottintendono l'idea che sia esclusiva responsabilità dell'uomo l'atto della fecondazione e che appartengono non solo ad un'epoca buia e lontana ma anche ahinoi a situazioni di degrado umano e culturale.

La femmina non è un oggetto alla mercé del maschio. Non viene «messa incinta». Se si incorre in una gravidanza, la responsabilità è di entrambi, sebbene il diritto di scelta se abortire o meno appartenga a chi il frutto di quell'unione lo porta in grembo.

Per abbassare la quota di aborti e salvaguardare così le donne, serve innanzitutto che queste ultime sappiano che l'aborto rappresenta un trauma e una ferita e che, per evitare di incappare in gravidanze non bramate, è necessario adoperare metodi anticoncezionali di sicura efficacia e pretendere che vengano utilizzati dall'altro.

La parola chiave, ancora una volta, è «responsabilizzazione».

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