L'Angelino incapace perfino di tradire

Alfano ha rivelato di essere inadeguato: non gli manca soltanto il "quid", ma anche la malizia necessaria per essere un traditore costruttivo

L'Angelino incapace perfino di tradire

Che cos'ha combinato Angelino Alfano? Dove pensa di arrivare? Quali carte ha in mano per tentare di non annegare nel nulla? Sono domande che ci poniamo dal giorno in cui egli abbandonò l'ovile accompagnato da un piccolo gregge di illusi, forse ingenui, sicuramente sprovveduti. Ma oggi sono interrogativi più che mai di attualità e ai quali - visto il suo silenzio - proviamo noi a rispondere in chiave ipotetica. Cominciamo col dire che il Coniglione mannaro, nato democristiano in Sicilia, entrò giovanissimo nell'armata (un po' raccogliticcia) berlusconiana ai tempi in cui Forza Italia era considerata un Ufo. In pochi anni Angelino fece carriera: addirittura responsabile del ministero della Giustizia, dove ha lasciato una traccia indelebile, pardon, invisibile. Ospite fisso dei più importanti talk show televisivi, grazie a un eloquio sciolto e disincantato, seppe conquistare il favore del maggior intenditore di tivù-spettacolo: Silvio Berlusconi. Che lo promosse addirittura proprio delfino, che dico, controfigura, uomo di fiducia, segretario del Pdl. Però, che vertiginosa ascesa. Appena quarantenne, un virgulto, Angelino salì talmente in alto da mostrarsi per ciò che in effetti era ed è: bravino, ma senza «quid», secondo una storica e raggelante definizione del Cavaliere. Qui si capì che era già iniziata la caduta del Preferito.Che sia stata la battuta sferzante del presidente ad accendere la miccia del risentimento nell'animo di Alfano? Può darsi. È un fatto che da quel momento il desiderio di riscatto ha modificato il carattere del Coniglione. Il quale, per essere sintetici, si è allontanato lentamente da Arcore e si è avvicinato velocemente al Quirinale, a Enrico Letta e alla sinistra indomita delle larghe intese. La frequentazione di certi ambienti lo ha convinto - dopo la condanna in Cassazione del capo - che il Cavaliere fosse alla frutta, e gli è venuta l'ideona: quella di lasciarlo al suo infausto destino. Succede sempre così: se mi conviene ti seguo, se non mi conviene ti saluto. Faccio un po' di scena, verso qualche lacrimuccia e me la filo. Alfano se l'è filata, persuaso di aver realizzato un buon affare (lui e i suoi adepti). Con un pretesto: povero Silvio, è succubo dei falchi, dei Fitto e delle Santanchè, e non comprende che ascoltando questa gente andrà a sbattere.

All'ex delfino son sfuggiti alcuni dettagli della personalità complessa del Cavaliere. Questi: l'uomo è invecchiato (va per i 78), ha diverse condanne sulle spalle, è in procinto di essere affidato ai servizi sociali, è afflitto da mille grane, il Milan è meno distante dal fondo della classifica che non dalla vetta. Nonostante ciò, mentre chiunque nei suoi panni sarebbe in clinica con gli aghi delle flebo infilati nelle vene, lui, uno che non lo ammazzano neppure dieci Boccassini, è lì che lotta per ringiovanire i vertici del partito e smania per incontrare Matteo Renzi, allo scopo di trattare sulla nuova legge elettorale. Un tipo simile non è mica normale. Non può un Alfano qualunque supporre di infinocchiarlo gratis. Difatti ne è stato infinocchiato. Se al tavolo dei negoziati decisivi siedono, l'uno dinnanzi all'altro, Silvio e Matteo (e nessun altro), significa che Angelino non conta più un tubo, ammesso che abbia mai contato qualcosa. Il leaderino del Nuovo centrodestrina è riuscito nell'impresa di spaccare, non aderendovi, Forza Italia; di fondare un partitino ininfluente; di tenere in piedi un governo patetico, buono solo a pasticciare con le tasse le cui sigle sono criptiche e delle quali si ignora quanto pesino sulle nostre tasche e quando vadano pagate. Non solo. Nel giro di un paio di mesi il Coniglione mannaro è stato capace di litigare con Renzi, pregiudicandosi la permanenza nella maggioranza, non è stato in grado di preparare proprie liste alle regionali in Sardegna, e dubitiamo che a maggio superi il test europeo, accaparrandosi qualche seggio, poiché difficilmente sfonderà lo sbarramento del 4 per cento.

Alfano in questa congiuntura ha rivelato di essere inadeguato: non gli manca soltanto il «quid», come diagnosticò spietatamente il Cavaliere, ma anche la malizia necessaria per essere un traditore costruttivo. È un ragazzo impaziente e presuntuoso che, dopo avere vinto alla lotteria la cadrega di segretario del Pdl, invece di ringraziare il Signore (Silvio), lo ha rinnegato ricavandone un pugno di mosche e forse qualche pugno in faccia (nelle settimane prossime venture).


Se domani, o un attimo prima o un attimo dopo, Renzi e Berlusconi annunceranno di avere trovato l'intesa sul modello spagnolo per la nuova legge elettorale, Angelino e la sua orchestrina del piffero avranno una sola possibilità di sopravvivere: bussare alla porta del Cavaliere e chiedergli scusa. Lo faranno. E lui, accanto a quella di Dudù, aggiungerà qualche ciotola anche per loro, che agiteranno la coda felici e contenti, ma anche un po' scornati.

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