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Leadership ed emergenze

Il dato importante oltre al colore di una politica è tirare fuori il Paese dai guai. Lì si tempra un leader

Leadership ed emergenze

C'è chi riduce il governo o, più in generale, la politica ad una questione di fortuna. Magari fosse così semplice. Basterebbe un'ordinanza che abolisse per i numeri civici il 17 e il 13 e li sostituisse solo con il 23 seguito in sequenza da una lettera cioè 23A, 23B, 23C e il gioco sarebbe fatto. Scherzo. La verità, semmai è che le grandi leadership, quelle che lasciano un segno, si forgiano nelle emergenze, nelle congiunture difficili, nei periodi di crisi.

Basta guardare ai miti che hanno costellato la recente storia anglossassone da Churchill, alla Thatcher, o, oltreoceano, a Reagan. Sono le fasi complicate, quelle in cui i popoli si affidano a chi li guida, quelle in cui crescono gli statisti. Anche da noi le storie di personalità come Moro, Berlinguer, Craxi, lo stesso Berlusconi sono legate a doppio filo a qualche emergenza (dal terrorismo, all'economia, a qualche conflitto). Addirittura anche personaggi che sono arrivati a Palazzo Chigi quasi per caso hanno acquisito peso perché erano al timone della nave Italia in mezzo alla tempesta. È successo a Conte con il Covid. Non è che da Premier il leader grillino (a parte gli slinguazzi di qualche biografo giacobino) avesse mostrato grandi capacità ma le drammatiche situazioni che ha affrontato lo hanno imposto alla guida dei 5stelle. Ora Giorgia Meloni si ritrova ad affrontare un momento difficile dal punto di vista economico (ieri ha usato l'espressione «grande emergenza»).

Per molti istituti internazionali sul 2023 pesa un forte rischio di recessione a livello globale. Siamo presi dalla tenaglia di una crisi energetica, di una guerra a due passi da casa, con in più la tragica incognita di una ripresa della pandemia in Cina. Ed è proprio sulla capacità di guidare il Paese in simili frangenti che la Meloni si gioca la sua sfida. E con lei l'intero centro-destra. La scorsa legislatura il governo giallo-rosso, che è ancora oggi la formula più in voga a sinistra, alzò bandiera bianca di fronte alle difficoltà del momento e spinse il Paese ad affidarsi ad un governo tecnico di salvezza nazionale (Draghi).

Ora toccherà alla coalizione che ha vinto le elezioni dimostrare che la sua proposta politica è adeguata anche per i momenti difficili e le scelte complesse, che non ci sarà quindi alcun bisogno in questa legislatura di governi istituzionali. Per riuscirci dovrà essere consapevole che la governabilità si coniuga con il pragmatismo, mentre l'ideologia - di qualsiasi tipo - ne è la negazione. È una filosofia valida per affrontare qualsiasi problema a cominciare dal Covid. Soprattutto ci sarà bisogno di buonsenso: lasciare ad esempio ai Comuni la scelta se cancellare o meno le cartelle esattoriali sotto i mille euro è una mezza follia. C'è il rischio teorico che Napoli decida per il «sì» e Milano per il «no». In un Paese in cui non si è uguali davanti alla giustizia (esperienza docet), non lo saremo più neppure davanti al fisco.

Per cui è giusto dare un'identità all'azione di governo, dimostrare che si tratta di un governo di centro-destra, pardon di destra-centro, ma seguendo sempre la bussola della razionalità, dal fisco al Covid; perché il dato importante oltre al colore di una politica è tirare fuori il Paese dai guai. Lì si tempra un leader: governare una fase difficile per la Meloni in fondo non solo è un rischio ma anche un'occasione.

Buon anno a tutti.

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