Caso Sallusti

Legge assurda ma noi lunedì non scioperiamo

Non ci nascondiamo dietro a un dito. Se l'astensione dal lavoro fosse un segno di solidarietà verso Alessandro, e di appoggio ai colleghi che rischiano la sua stessa sorte, saremmo solerti nell'aderire all'iniziativa

Fa piacere, sul piano simbolico, che la Federazione nazionale della stampa si sia svegliata a modo suo, cioè indicendo uno sciopero generale della categoria lunedì prossimo, a seguito del caso Alessandro Sallusti, condannato a 14 mesi di reclusione per non aver scritto un articolo che nella sentenza è però attribuito a lui. Sembra una barzelletta, invece è la realtà che, notoriamente, supera la fantasia e calpesta la logica. In questo momento, a poche ore dall'arresto del direttore responsabile del Giornale, non abbiamo voglia di polemizzare. Ma ci corre l'obbligo di riferire i fatti, sia giudiziari sia sindacali.
Cominciamo dallo sciopero. Perché si fa? Il Senato si era impegnato a cambiare la legge sulla diffamazione a mezzo stampa, adeguandola ai tempi e alle norme dei Paesi più civili: in una parola, abolendo la pena del carcere per noi gazzettieri incorsi in un errore tale da danneggiare la reputazione di qualcuno. I signori senatori, una vera e propria élite di intelligentoni, dopo interminabili discussioni hanno approvato un testo opposto rispetto alle intenzioni dichiarate da Maurizio Gasparri (Pdl) e Vannino Chiti (Pd) nel ddl presentato in commissione.

Un prodigio ha fatto sì che l'articolo 1, votato in segreto nell'aula, invece di cancellare la vergogna della galera la confermasse. E se una riforma non riforma un bel niente che razza di riforma è? Questo per dire il livello dei nostri parlamentari, quasi tutti pronti per esordire a Zelig. I senatori tardivamente si sono accorti di avere fatto una boiata pazzesca e, nel tentativo di rimediare, ne hanno fatta una seconda ancora più pazzesca con un emendamento che prevede la prigione per qualunque giornalista tranne che per i direttori accusati di omesso controllo.

Perché si tratta di boiata? La preoccupazione principale dei signori legislatori dei miei stivali era quella di evitare un provvedimento fatto su misura per salvare il direttore del Giornale. Cosicché essi hanno ribadito che la pena detentiva è cosa buona e giusta per punire quei fetenti di giornalisti che osano sputtanare i politici. Praticamente una vendetta mascherata e spacciata per comportamento saggio. Dato però che le bugie hanno le gambe corte, il giorno appresso gli italiani sono scoppiati a ridere. Allora i senatori hanno cercato di fare macchina indietro, introducendo l'emendamento favorevole ai gerenti delle testate giornalistiche. Un emendamento raccapricciante e palesemente ad personam. Tanto valeva che i geni della commissione scrivessero nel testo partorito dalle loro menti illuminate: tutti gli appartenenti all'Ordine degli scribi vanno in cella tranne che Alessandro Sallusti. Avrebbero fatto prima.
A questo punto il nostro sindacato di categoria ha avuto un soprassalto di dignità proclamando uno sciopero. Motivo? Non perché gli stia a cuore il direttore del Giornale sbattuto dentro quale delinquente abituale, altrimenti si sarebbe mosso prima, magari non appena la Cassazione aveva emesso la sentenza definitiva, il che, fra l'altro, avrebbe forse spinto le eminenze del Senato a correggere sul serio la legge, depennando in due minuti le righe carcerarie.
Lo sciopero è una generica protesta contro il pasticcio parlamentare che, in effetti, incasina ulteriormente una materia già abbastanza confusa. Lo scopo dell'agitazione, a occhio e croce, è quello di fare in maniera che il ddl in questione venga cassato. Se l'obiettivo sarà colto, rimarremo con la vecchia normativa che contempla la prigione per i pennini disubbidienti. Sai che successo. Tanto rumore per nulla. Come dire: ragazzi, abbiamo scherzato. Sallusti fila a San Vittore e ai giudici riconsegniamo un codice che permette loro, esercitando la discrezionalità di cui godono, di ingabbiare chiunque abbia diffamato in buona fede o no (chi lo dimostra?).

Non ci nascondiamo dietro a un dito. Se l'astensione dal lavoro fosse un segno di solidarietà verso Alessandro, e di appoggio ai colleghi che rischiano la sua stessa sorte, saremmo solerti nell'aderire all'iniziativa della Fnsi. Poiché, viceversa, la stampa e i suoi addetti non solo se ne infischiano di Sallusti, ma hanno creato le condizioni in questo Paese affinché i cronisti non allineati a sinistra siano discriminati e considerati servi del padrone (come se tutti non avessimo un editore più o meno rompiballe), quindi da maltrattare e addirittura da rinchiudere, noi rinunciamo ad accodarci al sindacato. E lunedì saremo in redazione per fare il nostro quotidiano che uscirà regolarmente il dì successivo.

Ci volete definire crumiri? Fate voi. Non abbiamo paura delle parole. E lunedì le useremo, come di dovere, per raccontare l'ultimo giorno di libertà del nostro direttore e il suo annunciato ingresso in prigione. Non sia mai che un evento tanto drammatico, da noi atteso con angoscia e disperazione, sia ignorato dal Giornale. Sallusti che varca la soglia di San Vittore in ossequio a un verdetto iniquo della cosiddetta Giustizia italiana: è un fatto di tale gravità da non poter passare sotto silenzio. Lo documenteremo e commenteremo come merita.

Siamo di fronte a un episodio surreale, sconvolgente. Mai avremmo immaginato di assistere a un simile obbrobrio e con un finale preteso da un Parlamento di zombie che si distingue per la propria nullità, consegnandosi alla storia come il peggiore della storia repubblicana.

Politicanti da strapazzo, gli elettori vi castigheranno.

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