Nonostante fosse il suo compleanno, per il premier ieri è stata una giornata di lavoro e tensione, alla vigilia di quello che sa essere lo snodo cruciale per il suo governo. Tanto che gli è toccato festeggiare con un pranzo a Palazzo Chigi, tête-à-tête con il segretario del Pd Guglielmo Epifani: sul tavolo, tutte le possibili variabili delle prossime settimane, dal caso Berlusconi (su cui, ha spiegato Epifani, «il Pd non può permettersi di dare l'impressione di aprire una qualsiasi trattativa») ai rischi di crisi alle conseguenze sul partito. Congresso in testa, perché Epifani resta l'unica carta su cui il fronte anti-Renzi, Letta incluso, può provare a puntare.
A sera poi, in una intervista alla tv austriaca, il premier affronta direttamente il caso Berlusconi. Sul quale, dice, «il Parlamento si pronuncerà applicando le leggi». E il Pd «deciderà in commissione e le decisioni che assumerà, per quanto mi riguarda, saranno le decisioni giuste». Un modo per avvertire il Pdl che neppure il capo del governo, per salvare la vita del suo gabinetto, è disposto ad offrire alcuna «scorciatoia», spiegano dall'entourage, al Cavaliere. La linea della applicazione della legge Severino resta ferma e univoca. Se poi nella giunta del Senato si valutasse che ci sono «margini di riflessione e approfondimento, anche costituzionale, della nuova normativa», il Pd non alzerà barricate. Ma è tutto da dimostrare che quei margini ci siano.
Quanto alle possibili ripercussioni sull'esecutivo, «il mio - dice Letta - è un governo parlamentare di grande coalizione e deve la sua fiducia al Presidente della Repubblica e al Parlamento. Lavorerà finché avrà la loro fiducia». E non è un caso che ricordi che su Palazzo Chigi è aperto l'ombrello protettivo del Quirinale. Un'eventuale crisi, avverte il premier, non piacerebbe agli italiani, che «conoscono i costi dell'interruzione di un processo virtuoso che ci darebbe la possibilità di agganciare la ripresa. Confido che il Pdl si assumerà la responsabilità delle sue decisioni».
A Palazzo Chigi restano meno pessimisti che in gran parte del Pd sulla sopravvivenza del governo alla tempesta. E c'è chi, come il senatore Francesco Russo, vicinissimo al premier, dice: «Non mi stupirebbe se Berlusconi, che è abituato a ragionare su tutti gli scenari e a scegliere il migliore, scegliesse alla fine il beau geste. Se fosse lui, insomma, a chiedere ai suoi di votare per la decadenza, o a dimettersi prima del voto». Strada che ieri indicava anche Rosy Bindi in una intervista a Repubblica: «Un gesto che avrebbe grande significato politico: Berlusconi riconosce la sentenza e i suoi effetti, e non rinuncia a guidare la sua forza politica ma da cittadino che rispetta le leggi». A quel punto, dice Bindi, per Napolitano sarebbe più facile intervenire, «commutando la pena». Ma è come chiedergli, nota Nicola Latorre, «di prendere atto che la sua stagione è finita e deve uscire di scena: dubito che ci stia pensando».
Una cosa però è certa: in casa Pd tutti ammettono che se Letta cade non ci sono alternative al voto. Sul fronte 5 Stelle le porte sono chiuse: «Con questa gente non vogliamo avere a che fare», dice il capogruppo Morra. Quanto alle voci di scouting in casa Pdl per trovare transfughi disposti a sostenere Letta anche senza Berlusconi, nessuno ci crede: «Servirebbero almeno trenta senatori, non esiste», dice il senatore Pd Stefano Esposito.
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