Politica

L'Italia dice no agli Ogm. "È una caccia alle streghe"

Un decreto approvato ieri blocca la coltivazione del mais geneticamente modificato. L'ira del presidente di Confagricoltura, Mario Guidi: "Gli studi confermano che è più sano del tradizionale"

L'Italia dice no agli Ogm. "È una caccia alle streghe"

Roma - Stop alla coltivazione del mais geneticamente modificato «MON810» sul territorio italiano. Lo stabilisce un decreto interministeriale firmato ieri dai ministri delle Politiche Agricole Nunzia De Girolamo, della Salute Beatrice Lorenzin e dell'Ambiente Andrea Orlando. Una notizia che fa felice secondo Coldiretti il 76 per cento degli italiani, chissà quanto informati, poi, ma che lascia perplessi molti. Tra i quali Mario Guidi, presidente di Confagricoltura. Per lui la lotta agli Ogm è «solo caccia alle streghe».

Guidi, il no agli Ogm è saggezza o paura del progresso?
«Noi gradiremmo che le scelte del nostro Stato siano fatte sulla base di evidenze scientifiche e non di generiche enunciazioni. Gli Ogm nel mondo sono un elemento di successo, ci sono 170 milioni di ettari coltivati a Ogm nel 2012 negli Usa, in Brasile, in Argentina, in Canada, in Spagna. È chiaro che dove si adottano misure anti-Ogm non c'è nessuna spinta a un'ipotesi di verifica delle performance produttive del mais Ogm o dell'impatto della sua produzione nell'ecosistema».

Insomma, il mais Ogm è solo demonizzato?
«Secondo tantissime ricerche e studi, è assodato che il mais Ogm è più sano di quello convenzionale. Il mais transgenico produce da solo il Bacillus thuringiensis che lo difende dalla piralide e dagli insetti. Si tratta di un mais con molte meno microtossine, che sono uno dei fattori cancerogenetici più importanti. Mi piacerebbe che fosse la ricerca italiana a dire che con l'Ogm vengono compromessi la biodiversità e il made in Italy».

Slogan, slogan, slogan.
«Sì, è così. Io capisco che il Parlamento nazionale sulla spinta emotiva non potesse prendere una decisione differente da quella di oggi, tra l'altro forse impugnabile come in Francia, ma avrei preferito che si fosse percorsa la strada della clausola di salvaguardia che prevede che il motivo del divieto sia adeguatamente supportato dalla ricerca scientifica. Ventisei accademie hanno detto che gli Ogm, almeno certi tipi, sono positivi e non negativi».

Altro slogan è quello per cui il km zero sarebbe la salvezza dell'agricoltura italiana.
«In questo momento in Italia si dà attenzione solo al km zero facendo un assioma errato tra questo e il made in Italy. Il km zero è un percorso e un messaggio, ma il nostro Paese per conformazione e orografia non può avere un'alimentazione a km zero, a meno che non si voglia che il radicchio venga mangiato solo a Treviso o le arance solo in Sicilia. Chiamiamola autarchia: scommettiamo che ci piace molto meno? E poi prenda il vino».

Il vino?
«Certo. Oggi siamo i primi esportatori mondiali. Davvero vogliamo il vino a km zero?».

C'è però chi dice che il km zero possa sconfiggere la contraffazione alimentare...
«Ma no, la contraffazione è solo il segnale di come l'Italia abbia creduto poco nell'internazionalizzazione, non presidiando tutti i mercati. Forse se la politica agricola nazionale avesse aiutato i produttori a conquistare quei mercati non ci sarebbe stato il parmesan».

Aiutato come?
«La riforma dell'Ice è dell'anno scorso, l'inserimento dei soggetti agricoli nella cabina di regia a opera del ministro De Girolamo è dell'altro ieri dopo anni di attesa. Stiamo parlando di promozione, di affiancamento, di tutto quello che un Paese dovrebbe fare per avere una strategia agroalimentare come Germania e Francia».

Eppure il made in Italy è sempre un «plus»...
«Certo, ma grazie ai grandi imprenditori che lo hanno portato nel mondo, non certo grazie al governo e ai media, che premiano solo l'agricoltura a km zero».

Quantità e qualità possono andare d'accordo?
«È sbagliato pensare che la qualità debba essere remunerata all'infinito. Intanto dobbiamo essere più umili e considerare che il made in Italy va in concorrenza con il made in France, il made inGermany e qualsiasi altro made in... E poi da un certo punto in poi la competizione si gioca anche sul giusto prezzo, e cioè sull'equilibrio tra quantità e qualità. Noi abbiamo conquistato il mondo con prodotti anche industriali, che non vanno demonizzati.

Anzi, dobbiamo ricongiungere agricoltura e industria in un percorso che ci renda tutti più competitivi».

Commenti