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Caso Mes, Meloni interrogata davanti al Gran Giurì

La premier è stata interrogata dalla commissione ad hoc sul "caso Mes" dopo che ieri era toccato a Conte. Mulè: "Non ci saranno altre audizioni"

Caso Mes, Meloni interrogata davanti al Gran Giurì
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Dopo Giuseppe Conte, oggi è toccato a Giorgia Meloni recarsi davanti al Giurì d'onore di Montecitorio. L'udienza odierna, tenuta presso la Biblioteca del presidente della Camera dei Deputati è stata resa necessaria dopo che nelle scorse settimane il capo politico del Movimento Cinque Stelle aveva richiesto ufficialmente a Lorenzo Fontana di accertare quelle che lui aveva definito "menzogne denigratorie" dell'attuale presidente del Consiglio sulle modalità passate riguardanti l'istituzione del Mes tra la fine del 2020 e l'inizio del 2021 (governo Conte 2) per "ristabilire la verità dei fatti e ripristinare l'onore minato". Meloni ha raggiunto la sede parlamentare alle ore 12 in punto; l'incontro è durato poco più di un'ora.

L'intero dibattito è stato originato dal discorso che Giorgia Meloni aveva tenuto lo scorso 13 dicembre sia alla Camera sia al Senato, in visto del successivo Consiglio europeo di metà mese a Bruxelles, quando - a proposito della ratifica del Mes - il presidente del Consiglio aveva dichiarato: "Lo ha fatto il governo Conte, lo ha fatto senza mandato parlamentare e il giorno dopo essersi dimesso, quando era in carica solamente per gli affari correnti, dando mandato a un ambasciatore, firmato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, senza che ne avesse il potere, senza dirlo agli italiani e con il favore delle tenebre". La premier aveva anche mostrato in Aula il fax con cui l'allora ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, il 20 gennaio del 2021, diede istruzioni all'ambasciatore a Bruxelles di sottoscrivere le modifiche al Meccanismo. Immediatamente dopo il discorso del capo del governo si era scatenate diverse polemiche, con Conte che era arrivato addirittura ad autoinvitarsi alla festa di Atreju per potere dibattere proprio sul Fondo salva Stati.

La difesa di Giorgia Meloni

Fonti parlamentari sostengono che il presidente del Consiglio avrebbe ribadito per filo e per segno quanto sostenuto in Aula. La "difesa" di Meloni si sarebbe articolata, stando alle stesse fonti parlamentari, su tre direttive. Innanzitutto l'assunto che non ci sarebbe mai stata una maggioranza in Parlamento a favore della firma della riforma del Mes e, di conseguenza, non si potrebbe sostenere che ci fosse un chiaro mandato parlamentare alla sua sottoscrizione. La risoluzione richiamata da Conte e datata 9 dicembre 2020 era a detta della premier generica e fumosa e lo stesso leader M5s, negli interventi parlamentari in piena crisi di governo, avrebbe specificato che non c'era una maggioranza a favore del Mes. La premier avrebbe poi difeso anche la decisione di sbandierare in Aula al Senato un documento firmato dall'allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio e contenente l'indicazione alla Rappresentanza permanente d'ltalia presso l'Unione Europea di firmare la riforma del Mes: "risale al 20 gennaio 2021, data successiva all'apertura della crisi di governo avviata il 13 gennaio 2021 con le dimissioni dei rappresentanti di Italia Viva dalla compagine di governo", riportano le stesse fonti beninformate.

Meloni avrebbe poi richiamato le "date di scadenza", ricordando che il Conte 2 si è dimesso il 26 gennaio 2021. E chiamando in causa nella sua ricostruzione dei fatti, l'allora Rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione Europea (l'ambasciatore Massari) che all'indomani del passo indietro dell'esecutivo (il 27 gennaio) con il governo dimissionario e in carica solo per gli affari correnti, avrebbe seguito le istruzioni ricevute tre anni esatti fa, apponendo la firma all'accordo che riformava il trattato istitutivo del Mes. Il tutto, avrebbe sentenziato nuovamente la premier davanti all'organismo parlamentare guidato da Mulé, "senza una maggioranza parlamentare a favore del Meccanismo europeo di stabilità". Meloni, raccontano inoltre diversi esponenti di FdI, avrebbe mosso a Conte le stesse accuse rivolte in Aula, ribadendo al presidente Mulé e agli altri giurati che i passaggi che avevano accompagnato il disco verde del Parlamento al "restyling" del Mes avrebbero messo in imbarazzo l'ltalia in quanto sarebbe stato firmato un accordo internazionale sul quale, "non c'era all'epoca e non c'è attualmente una maggioranza parlamentare favorevole".

La commissione di indagine ad hoc che ha interrogato sia Conte sia Meloni è presieduta da Giorgio Mulè, di Forza Italia, che ha confermato che non si terranno altre udienze su questo caso. Insieme a lui, ci sono i deputati Fabrizio Cecchetti della Lega (con il ruolo di segretario), Filiberto Zaratti di Alleanza Verdi e Sinistra, Alessandro Colucci di Noi Moderati e Stefano Vaccari del Partito democratico. Per chiari motivi di imparzialità, non sono presenti nel gruppo incaricato membri né del M5s né di Fratelli d'Italia. Il Giurì d'onore, secondo l'articolo 58 del regolamento della Camera, dovrà comunicare la propria decisione all'assemblea entro il 9 febbraio, senza nessuna discussione o votazione successiva e senza nessuna ipotetica sanzione.

La "sentenza" non comporterà quindi alcune "pena", ma mirerà soltanto ad accertare la verità dei fatti riportati dal deputato trascinato davanti all'organismo di Montecitorio, in questo caso il presidente del Consiglio.

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