Meloni squarcia il silenzio: "Qui per chiedere perdono"

Per la prima volta un premier in piazza a Basovizza nel Giorno del Ricordo: "L’amore degli esuli per l’Italia a lungo colpevolmente non ricambiato"

Meloni squarcia il silenzio: "Qui per chiedere perdono"
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Dal nostro inviato a Basovizza – «Chiedo perdono per il colpevole silenzio delle istituzioni sugli innocenti trucidati». Giorgia Meloni misura le parole, nel suo intervento durato una manciata di minuti. Arriva a Basovizza intorno alle 10.45, resta per tutta la durata della cerimonia (oltre due ore) in piedi, depone una corona davanti alla foiba, scortata da un cordone di protezione e dall’affetto della gente, che non disegna di urlarle qualche incoraggiamento, poi annuncia il suo «impegno solenne», ovvero «fare la mia parte perché venga trasmesso ai nostri figli il testimone del ricordo, in barba a chi avrebbe voluto nasconderlo per sempre».

Un discorso da cui traspare la consapevolezza di chi torna su un luogo ormai familiare: «Ci venivo da ragazza, quando farlo significava essere additati, isolati. Ogni volta me ne sono andata da questo sacrario con qualcosa di più nel cuore». Ma stavolta «c’è qualche ruga in più e una grande responsabilità sulle spalle», rappresentare tutto il Paese. Ed è grazie alla legge del 2004 «da implementare» che ha istituito la Giornata del Ricordo «se il fiume carsico è emerso in superficie, ha intercettato affluenti, è diventato forte, impetuoso e oggi risplende in tutta la sua bellezza alla luce del sole, una luce che nessun tentativo riduzionista, negazionista potrà mai oscurare».

A Elly Schlein (che non commenta) fischiano le orecchie, basterebbe ricopiare le parole e la saggezza del capo dello Stato Sergio Mattarella, e invece dei leader di sinistra solo Matteo Renzi ha la stoffa per ricordare la mattanza comunista. Ma tant’è. «Istriani, fiumani, dalmati decisero di lasciare tutto per restare con la sola cosa che il regime titino non poteva toglierli: l’identità», ricorda la premier, che ribadisce il sacrificio di chi «pagando un prezzo altissimo, ha deciso di essere italiano due volte, per nascita e per scelta». Sottolinea le parole di Giuseppe Mazzini («La patria è la famiglia del cuore») si amareggia quando constata che l’amore degli esuli per l’Italia «a lungo non ricambiato».

La memoria torna al «treno della vergogna» preso a sassate a Bologna nel 1947, con il latte per i bambini sversato sui binari da chi «aveva come patria un’ideologia», alla «congiura del silenzio» che «per imperdonabili decenni ha avvolto la tragedia delle foibe e il dramma dell’esodo nell’oblio e nell’indifferenza». Una ferita profonda come la foiba di Basovizza, che questo esecutivo vuol ricucire. Con il Treno del Ricordo e il Museo nazionale del Ricordo a Roma, il Colosseo, la Reggia di Capodimonte a Napoli e la Pinacoteca di Brera a Milano illuminate «in nome del sentimento di solidarietà su cui ogni nazione si fonda, per raccontare una storia che appartiene alla Patria che avete difeso, amato e costruito. Siete la nostra famiglia».

Sono tre le storie emblematiche che la premier evoca. Quella di monsignor Ugo Camozzo, ultimo vescovo di Fiume italiana, che aveva tagliato il suo Tricolore per nasconderlo «in tre valigie diverse. Con la parte verde avvolse il calice, con la parte bianca un Vangelo, con la parte rossa una Bibbia». La sua «Trinità d’italiano» verrà ricucita sulla sua bara da esule a Pisa. O di Angelo Adam, meccanico ebreo scappato dall’inferno nazista di Dachau con il numero 59001 sul braccio e inghiottito assieme alla figlia e mai ritrovato. O di Odda Carboni, che si gettò nella foiba da sola, davanti agli aguzzini al grido «viva l’Italia».

La Meloni sogna l’Europa dei popoli, sa che il sangue degli infoibati ha scritto la storia del Vecchio continente dopo le macerie del comunismo, un’Europa che oggi fatica a trovare un equilibrio. Mentre le pulsioni sovraniste e lo spettro di un conflitto di civiltà alle porte avvelenano il dialogo tra i Paesi.

Ed è alla verità storica che la leader di Fratelli d’Italia punta, «un patrimonio da condividere anche con Slovenia e Croazia, con lo stesso spirito di pacificazione che ha portato le città di Gorizia e Nova Goriza a condividere la candidatura e il titolo di capitale europea della Cultura 2025». Eccola, l’Europa che ha in mente la Meloni e che le Europee di giugno potrebbero finalmente aiutarla a consacrare.

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