L’ideona è uscita dalla testa raffinata di Pier Luigi Bersani: «Ci vuole una tassa». Un’altra? «Sì, sulle transazioni finanziarie ». Che colpirebbe i professionisti della Borsa, chi compra e vende titoli e vive di speculazioni. Dare una strizzatina al portafogli di questi signori sarebbe cosa buona e giusta. Peccato che si tratti di un’ingenuità, perché la globalizzazione ha infranto le barriere nazionali, e un qualsiasi operatore del settore, se volesse sfuggire al fisco, ci metterebbe due minuti.
Col computer, trasferisce la sua attività a Hong Kong, con tanti saluti alle sanguisughe dell’Agenzia delle entrate e all’ideona del segretario del Partito democratico. Al quale cordialmente consigliamo di non parlare più di tasse nel Paese dei tartassati, se desidera prendere ancora qualche voto. Si dà infatti il caso che gli italiani abbiano superato la soglia della pazienza e della rassegnazione; non ne possono più di versare denaro allo Stato, che poi lo usa malamente e non ne ha mai a sufficienza.
Secondo un sondaggio commissionato da Tgcom 24 , 60 cittadini su 100 sono pronti alla ribellione fiscale. Oddio, le indagini demoscopiche vanno pigliate tutte con le pinze, specialmente quelle condotte dalle tv all’insegna dell’improvvisazione e dell’approssimazione, però servono a misurare la temperatura dell’opinione pubblica. Questa di Tgcom 24 rivela uno stato d’animo diffuso: il terrore della maggioranza dei contribuenti di non farcela più a tener dietro alle richieste pressanti del fisco. Il che, se ve ne fosse bisogno, spiega i motivi di tanti suicidi, particolarmente numerosi nella presente congiuntura economica.
Anche la Lega, pur non avendone i titoli in questo periodo di tribolazioni al proprio interno, si è fatta interprete del disagio popolare provocato dai sacrifici imposti alle famiglie, e ha lanciato una proposta allarmante per il governo: cari italiani, rifiutatevi di versare i tributi che vi strozzano. Intanto, si segnala la sollevazione di vari sindaci: si rifiutano di applicare l’Imu.
Tutto questo fa capire che il limite della sopportazione è stato raggiunto. I tecnici dell’esecutivo ne tengano conto. Va da sé che, data la situazione critica, i ministri farebbero meglio a non toccare più la leva fiscale affrettandosi, invece, a tagliare la spesa corrente. Ma l’impressione è che non ne siano capaci. Ieri si sono riuniti per concordare dove, come e quanto potare, però non hanno deciso un bel niente, nonostante il responsabile del dicastero per i Rapporti col Parlamento, Piero Giarda, avesse predisposto un piano di intervento abbastanza dettagliato. Pur di non affrontare lo spinoso problema, il premier, d’accordo con i colleghi, ha rinviato la questione al 31 maggio, quando ciascun ministro sarà invitato a esprimere la propria opinione. Non importa se questo non sia il momento delle opinioni, bensì quello delle azioni. Figuriamoci: il governo preferisce perdere tempo. Perché? Mario Monti punta alla conservazione del potere e non si azzarda, pertanto, a scontentare i partiti che lo sorreggono, tutti spaventatissimi all’ipotesi di tagli destinati a penalizzare le loro clientele. Risultato: immobilità assoluta.
E a forza di rimandare le scelte, si finirà per non scegliere. Questa è l’unica certezza. Poi non poteva mancare il lato comico.
Constatato che i professori sono determinati a tergiversare, qualcuno ha suggerito di affidare il gravoso compito di limare la spesa pubblica a un manager: Enrico Bondi, quello che avrebbe risanato Parmalat allo scopo di venderla bella pulita ai francesi. I tecnici che si rivolgono a un altro tecnico, esterno al gabinetto Monti, perché loro non sono abbastanza tecnici. Sembra una barzelletta. Viceversa è la realtà. La nostra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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