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"Moody’s non fa paura. L’Italia sta correndo e il governo lavora bene"

"Se ci tagliano il rating finiamo nel gruppo di Marocco e Paraguay: non è esagerato?"

"Moody’s non fa paura. L’Italia sta correndo e il governo lavora bene"

Oggi Moody's può abbassare il rating dell'Italia. In ogni caso resteremo in bilico tra Serie A e serie B. Vittorio De Pedys, professore alla Escp Business School di Parigi, una lunga esperienza nell'investment banking, vede le cose italiane con il giusto distacco: ce lo meritiamo?

«Delle quattro grandi agenzie di rating Moody's è l'unica che assegna al debito italiano l'ultimo livello di investment grade e con outlook negativo. Le altre ci tengono a un gradino più alto con prospettive stabili. Personalmente considero che Moody's utilizzi metodologie discutibili».

Perché?

«Sia Fitch sia Standard & Poor's hanno confermato il loro outlook citando la stabilità governativa, la bassa percentuale di incagli nelle banche e la sostenibilità del nostro debito. Moody's dice il contrario sul governo e poi cita le difficoltà sui fondi Pnrr, il che mi lascia perplesso: mal che vada il Pnrr lo utilizzeremo solo in parte, ma cosa c'entra con la sostenibilità del debito? Noto inoltre che Moody's ha girato l'outlook in negativo quando Draghi si è dimesso: forse è stata solo una coincidenza, ma non c'erano altre notizie in quel momento. E in parallelo a Moody's c'è solo Goldman Sachs che lancia l'allarme Italia, consigliando di vendere i Btp e di puntare sulla Spagna. Dopodiché se l'agenzia dovesse retrocederci perderemmo l'investment grade finendo nello stesso gruppo di Paesi come Paraguay, Marocco, Trinidad, Cipro. A me pare esagerato».

Sul mercato esploderebbe il problema Italia?

«Ci sarebbero due problemi Italia, uno visibile e uno meno. Il primo è di immagine, ma sul mercato prevedo conseguenze minime. I mercati sparano sulla Croce Rossa, come hanno fatto sul Credit Suisse o sulla Grecia a suoi tempi. Non bisogna essere Croce Rossa e in questo momento non lo siamo. Lo certificano il tasso di crescita, lo spread, gli investimenti. Non siamo più il vaso di coccio. Quello meno visibile è che se per Moody's diventiamo spazzatura, non è vero che la Bce non può più comprare Btp. Quello accadrebbe solo se tutte quattro le grandi agenzie ci dovessero retrocedere».

È certo del giudizio positivo dell'azione del governo?

«Sia i mercati, sia i nostri partner economici giudicano i provvedimenti presi dal governo efficaci e prudenti, tecnicamente e politicamente coerenti con la linea dell'esecutivo. Infatti lo spread è a 187 contro il picco di 220 punti toccati con Draghi».

Quali sono i provvedimenti buoni del governo?

«Il primo è il taglio del cuneo fiscale, che da noi vale il 45,9% del reddito contro il 34,6% della media Ocse. Un taglio del 6-7% è molto importante. Il merito è di averlo fatto, il problema sarà renderlo strutturale: servono 11 miliardi l'anno, vanno trovate le risorse. E queste si sono trovate grazie alle scelte effettuate finora. Dall'abolizione del superbonus, al ripristino delle accise sulla benzina fino alla riforma del reddito di cittadinanza. E in futuro dall'accelerazione del Pil a tassi maggiori di quelli prudenziali inseriti nel Def.

Il secondo?

«Apprezzo molto le proposte di riforma fiscale del viceministro Leo, la riduzione delle aliquote da 4 a 3, con una revisione complessiva della fiscalità assolutamente necessaria. Penso al desiderio di applicare una flat tax sulla tredicesima, all'abolizione dell'Irap per gli autonomi, alla razionalizzazione del 226 crediti d'imposta e delle 626 agevolazioni fiscali, all'abolizione delle microtasse».

Perché sindacati e opposizioni fanno muro?

«Il taglio del cuneo lo vedono come un trasferimento di ricchezza a ceti più abbienti e sul lavoro temono che aumenti la precarietà. Potrebbero anche avere ragione, ma andare in piazza contro un governo che aumenta le buste paga non ha senso. Bisogna capire che per fare di più servono risorse pubbliche che non ci sono. Devono essere prese da qualche parte. E l'unico modo è puntare oggi sulla crescita per poter fare domani qualcosa di diverso».

Il tema resta quello di un debito pubblico al 145% del Pil, con il quale convivere. Che ricette ci sono?

«Si può gestire con la crescita di produttività e Pil e con una riqualifica della spesa pubblica verso gli investimenti. Ed è corretta la linea della premier sull'aumento della quota di debito detenuta da residenti. Oggi è solo l'8%, va almeno triplicata. Io non sono d'accordo con i miei colleghi economisti contenti del debito in mano estera perché significa fiducia nell'Italia: è troppo pericoloso. Finisce che le politiche economiche le dettano all'estero.

E pure quelle monetarie: non crede che la Bce sia troppo filo-Germania?

«I tedeschi sono i primi azionisti della Bce. Preoccupati dall'unica cosa che spaventa l'Europa e cioè il debito italiano, da cui derivano le riforma del Patto di stabilità e del Mes. Detto questo io sono critico con le banche centrali che hanno tenuto per tanti anni i tassi a zero, mentre ora abbiamo assistito al più ampio e veloce rialzo mai avvenuto nella storia. Se non si fermano ci saranno effetti restrittivi enormi. Anche se l'inflazione resta più alta degli obiettivi. Perché mai deve essere al 2%? È una scelta arbitraria e opinabile. Vedrà che a un certo momento cambierà la narrazione.

E ci verranno a dire che è meglio averla al 4%».

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