La morsa letale di Bersani: vuol dare il Lazio a Casini e costringerlo all'inciucio

Il Pd già pensa alla spartizione delle poltrone: ok a un esponente dell'Udc in Regione in cambio di Zingaretti al Campidoglio

Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani
Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani

I manifesti di Renata Polverini, apparsi a tempo di record sui muri della capitale («Questa gente la mando a casa io! Ora facciamo piazza pulita»), sono l'indizio numero uno del fatto che le dimissioni della governatrice erano nell'aria da giorni. Così come da giorni nel centrodestra e nel centrosinistra sono iniziate le grandi manovre per la successione dell'ex sindacalista.
La prima partita è quella dei tempi. La legge lascia ampi spazi di manovra. Polverini ha 90 giorni di tempo dalla formalizzazione delle dimissioni per indire le elezioni, che poi si dovranno svolgere da un minimo di 45 a un massimo di 90 giorni dopo. Se Renata forzasse i tempi, si potrebbe votare anche a novembre, come proposto ieri dal Pd, che ha fretta di chiudere la faccenda per massimizzare le chance di vittoria. Ma resta improbabile un voto autunnale: si dovrebbe andare alle urne nei primi mesi del 2013, forse in un election day con le Comunali e le Politiche. Ma servirebbe un decreto ad hoc del governo, e l'accordo di tutte le forze politiche.
A Roma per il dopo-Alemanno (che secondo alcune delle convulse voci di questi giorni potrebbe lasciare prima del tempo, per dar vita ad una nuova formazione di destra post-Msi) è già in campo Nicola Zingaretti, Pd doc. Mentre per la Regione il «candidato naturale», come dice Matteo Orfini della segreteria Pd, è il segretario regionale Enrico Gasbarra. Il quale non vede l'ora e già parla di «legislatura costituente». Ex presidente della Provincia, ex vice sindaco con Veltroni, in politica dai tempi del mitico «Squalo» Sbardella di cui era pupillo nella Dc, Gasbarra ha però l'handicap del politico di lungo corso, «e questo - ragiona un importante dirigente romano del Pd - non è il momento dei professionisti: servono facce nuove. E possibilmente non facce Rai: abbiamo già dato». Il riferimento è ai trascorsi di Badaloni e Marrazzo, ma anche alle ambizioni di David Sassoli, ex volto del Tg1, che vorrebbe abbandonare il seggio a Strasburgo per la Regione Lazio. Mentre Walter Veltroni, con spirito obamiano, vorrebbe mettere in pista Jean-Leonard Touadi, unico deputato italiano di colore. In casa Idv si scalda Giulia Rodano e in Sel Luigi Nieri. La Polverini non si è ancora ufficialmente dimessa e a sinistra è già scontro interno.
La corsa per la Regione, nonostante il disastro Pdl, è più complicata di quella del Campidoglio per il Pd: Roma è storicamente più a sinistra, le altre province più a destra. Dunque occorre allargare la coalizione, a Sel ma anche all'Udc. E siccome Roma è prenotata per Zingaretti (anche se c'è chi avalla l'ipotesi di offrire il Campidoglio all'Udc, magari col «tecnico» Luigi Abete, e prendersi la regione), il candidato per il Lazio non può essere Pd. L'idea che circola ai piani alti del Nazareno è quella di offrire a Casini la scelta del nome per la Pisana, in cambio dell'alleanza. E il nome su cui, secondo voci insistenti, sarebbe in atto un pressing di Bersani è quello del ministro Andrea Riccardi. Il fondatore di Sant'Egidio, si spiega, «metterebbe d'accordo tutti, da sinistra al centro».
Nel centrodestra sotto shock la situazione è più fluida. L'identikit del candidato contempla o la capacità e il carisma di ribaltare il pronostico; o la volontà di accettare una sconfitta annunciata rendendola magari più onorevole. I soli nomi di impatto sono al momento quello del senatore Andrea Augello, regista di tutte le operazioni elettorali degli ultimi anni a Roma; e di Antonio Tajani, vicepresidente della commissione europea, capace di ricostruire con pazienza un'autorevolezza politica dopo la sconfitta contro Veltroni nel 2001. Qualcuno vorrebbe proseguire sul profilo rosa candidando Luisa Todini, eurodeputata Pdl molto apprezzata da Berlusconi. Da non sottovalutare anche Guido Bertolaso, ex capo della Protezione civile uscito ammaccato dall'inchiesta sugli appalti per il G8 ma con un'intatta immagine di uomo del fare, perfetto per il doposisma politico.

Qualcuno azzarda anche un clamoroso ritorno sulle scene: quello di Francesco Storace, presidente del Lazio dal 2000 al 2005, che ha pagato lo scotto del Laziogate con le successive dimissioni da ministro della Salute e ha fatto la sua personale traversata del deserto nella Destra, e ora si ritrova con la coscienza immacolata al fianco di un Pdl inzaccherato. Il suo attivismo nel sostenere Polverini allo spirare della sua amministrazione lo designa come un predestinato. Da Epurator a Rieccolo.

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