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Matteo come Baffino, in Germania a farsi "benedire"

Nel 1997 D'Alema incontrò in gran segreto il Cancelliere Kohl: e l'anno dopo divenne premier

Matteo come Baffino, in Germania a farsi "benedire"

Quando Massimo D'Alema l'altro giorno ha scoperto - a cose fatte, come tutti gli altri - che Matteo Renzi aveva riservatamente incontrato Angela Merkel a Berlino, un ricordo deve essergli affiorato alla mente: lontano, ma incredibilmente attuale. E pensare che era stato proprio lui, D'Alema, giusto un paio di settimane fa, a consigliare al sindaco di Firenze di «costruirsi un profilo internazionale», magari candidandosi l'anno prossimo al Parlamento europeo. Renzi ha seguito alla lettera le orme del maestro. Che nel 1997, in gran segreto e mentre Prodi sedeva a palazzo Chigi, aveva incontrato a Bonn il cancelliere Kohl.
Le somiglianze sono impressionanti. Uguali le modalità: un incontro privato, senza annunci né conferenze stampa, comunicato ai giornali soltanto dopo la sua conclusione. Uguali le reazioni polemiche e l'impatto politico sul centrosinistra - nel '97 il Polo della libertà parlò di «diplomazia parallela di un superpresidente» e Mastella si chiese ironicamente chi fosse il capo del governo - e uguali tanto l'imbarazzo creato a palazzo Chigi quanto le dichiarazioni impiegate per occultarlo: «Palazzo Chigi era informato e favorevole». Sì, certo: informatissima, allora come adesso. Ma chissà quanto davvero «favorevole».
Nel 1997 Prodi, uscito vincitore dalle elezioni dell'anno precedente, guidava il governo dell'Ulivo. Il duello con D'Alema - allora segretario del Pds, il primo partito della coalizione - era cominciato ancor prima della campagna elettorale ma restava, per dir così, sullo sfondo: la priorità, allora, era l'euro. E proprio per favorire la partecipazione dell'Italia alla moneta unica - aveva infatti preso a circolare con insistenza l'ipotesi di un piano europeo per rinviare l'ingresso del nostro Paese - D'Alema aveva chiesto e ottenuto l'incontro con Kohl. Così almeno spiegò l'ufficio stampa di Botteghe Oscure, definendo il vertice «positivo e rassicurante».

Ma non per questo non mancarono le polemiche, anzi. Tanto più che proprio il giorno successivo - il 7 febbraio - a Bonn sarebbe arrivato Prodi con mezzo governo (fra cui Ciampi e Dini) proprio per discutere con Kohl il destino dell'euro. L'anticipo di D'Alema fu percepito come il segno di un primato politico che a palazzo Chigi non piacque per nulla. L'incontro con Kohl durò un'ora e mezza, il doppio del previsto, e si concluse con uno scarno comunicato di due righe, diramato a metà pomeriggio e destinato a conquistare la prima pagina dei giornali. In realtà l'incontro a D'Alema servì soprattutto - e qui di nuovo c'è un'analogia con la visita di Renzi alla Merkel - per conoscere personalmente il cancelliere (allora come adesso presidente de facto dell'Europa) e, soprattutto, per farsi conoscere da lui.

Anche in quell'occasione palazzo Chigi gettò acqua sul fuoco: l'incontro «era stato programmato da tempo», la presidenza del Consiglio «ne era al corrente» e Prodi in persona aveva dato a D'Alema il suo via libera. «È perfettamente legittimo e comprensibile che il leader del più grande partito di governo in Italia venga in visita in Germania per incontrare il cancelliere. Queste cose da noi fanno parte di una tradizione politica consolidata», disse per calmare le acque Karsten Voigt, dirigente dell'Spd e in quegli anni presidente dell'Assemblea parlamentare della Nato.

Come poi andarono le cose, è noto a tutti: entrata l'Italia nell'euro, l'Ulivo cominciò a sfaldarsi sul lato sinistro, e nell'ottobre dell'anno successivo Rifondazione comunista votò contro il governo e lo fece cadere. Poco più di un anno e mezzo dopo il viaggio segreto a Bonn, Massimo D'Alema sedeva a palazzo Chigi.

Chissà se a Renzi servirà tutto questo tempo.

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