Nell'era delle tecno-tastiere vincono gli appunti old fashion: quelli scritti a mano, con la penna, sulla carta. In tv, fino a qualche mese fa, gli opinionisti arrivavano col tablet sotto braccio. Lo accendevano (anzi, non lo avevano mai spento) e cominciavano a smanettare. Ma il comportamento fu subito bocciato dagli esperti di comunicazione e di linguaggio del corpo: «Quel nascondersi dietro lo schermo in obliquo sulla scrivania trasmette un senso di chiusura. Il telespettatore era portato a pensare che l'iPhonedipendente si stesse facendo i fatti suoi...». Fu allora che gli strateghi delle relazioni suggerirono il «ritorno al futuro»: vale a dire la riscoperta del vecchio block notes con la penna nell'elastico laterale: «Come quando a scuola il professore spiegava e gli studenti prendevano appunti... questo sì che è un modello che garantisce empatia». Lezione di cui in molti stanno facendo tesoro. Martedì sera, ad esempio, in un bar di Milano, sul maxischermo non c'erano partite di calcio, ma Ballarò. Scelta originale. Chissà, forse per farsi due risate col monologo di Crozza. Sta di fatto che il target da bar non è esattamente quello di Ballarò (almeno fino a quando Floris non deciderà di chiamarlo Bar Larò), e così nel suddetto bar - manco fossimo nella bottiglieria dei Cesaroni alla Garbatella - subito è scattata la battuta non proprio di rito ambrosiano: «Anvedi questi, pe' di' le solite stronzate, prendono pure appunti...».
Già, perché due sere fa nello studio di Ballarò era tutto un frusciare di taccuini e uno sciabolare di stilografiche. L'onorevole Laura Ravetto era, come sempre, carica di adrenalina almeno quanto la sua penna carica di inchiostro. Parlava Corrado Passera e lei prendeva appunti furiosamente; poi ha cominciato a parlare lei, e a prendere appunti ha iniziato Passera. Quando il microfono è passato invece a Beppe Severgnini, gli appunti li vergarva Nichi Vendola; ma poi quando il leader di Sel ha preso a cantargliele a Servergnini («La devi piantare di descrivere il Sud con i soliti luoghi comuni...», l'opinionista più british del giornalismo italiano si è fatto prestare la penna dalla Ravetto (o da Passera?) ed è passato al contrattacco, appuntandosi la frase con cui avrebbe poi ribattuto a Vendola: «Io amo il Sud, quelli che cito sono solo dati... e i dati dicono che solo il 13% dei turisti stranieri che vengono in Italia scelgono di andare al di sotto di Roma...». Che, col tutto il rispetto per la scuola anglosassone di Severgnini, ci sembrano dei dati un po' tarocchi.
Ma torniamo al boom dei nostri (anzi, dei «loro», appunti cartacei): «fenomeno» ormai riscontrabile in tutti i talk show e non solo. Affezionati al block notes d'ordinanza sono anche due ex cronisti, saliti poi al rango direttoriale: Mario Sechi e Marco Travaglio. Ma mentre Sechi, Travaglio (e, forse, Severgnini) gli appunti li prendono davvero, tra gli habituè dei salotti dell'infotainment, più o meno hard, non mancano pure i bluffisti del taccuino: quelli cioè che fingono di scrivere, giusto per darsi un tono. Solo perché hanno orecchiato da qualche «esperto» di comunicazione che tale modalità di relazionarsi con l'interlocutore (ma soprattutto col telespettatore) garantisce un «valore aggiunto in termini di autorevolezza e credibilità valoriale». E così tanti presunti (molto presunti) opinion leader hanno cominciato a rincorrere questo fantomatico «surplus di immagine», brandendo agenda e matita come i crociati facevano con scudo e spadone. Del gruppo, all'inizio, faceva parte anche Berlusconi che però da qualche tempo ha mollato carta calamaio e penna, forse perché in tutt'altre faccende affaccendato; fedeli alla massima Appunto, ergo sum restano invece il lanciatissimo Renzi e il bollitissimo Di Pietro.
Chiudono tristemente la categoria degli «appuntofili», le vittime della «sindrome di Mauro Fortini»: Mauro Fortini è quel tale (cresciuto alla «scuola» di Gabriele paolini) con la penna tra i denti che nei telegiornali, a reti unificate, sta sempre dietro il politico di turno, fingendosi un acuto segugio di bla bla di Palazzo. Un reporter tragicomico - almeno quanto quelli «veri» che lo circondano con i microfoni puntati su gli onorevoli Razzi e Scilipoti - che ascolta «fondamentali» dichiarazioni per poi trascriverle sul suo block notes.
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