Politica

Nessun reato in quelle chiacchierate

La Procura ha scelto di non chiedere l'utilizzo della registrazione. Diverso per le conversazioni di D'Alema e Fassino sull'affare Unipol

Il tema è sempre quello, che si trascina da anni, dal Fassino di «abbiamo una banca», al Napolitano intercettato a Palermo, fino adesso ad Angelino Alfano, registrato nei suoi conversari con Salvatore Ligresti. Cosa fare quando un politico, le cui telefonate sono protette da immunità parlamentare, finisce per caso sotto ascolto in un'altra inchiesta? Anche stavolta, di fronte alla chiacchierata Alfano-Ligresti, la Procura di Milano ha dovuto porsi questo interrogativo. Ed anche stavolta ha ritenuto che non ci fosse alternativa al deposito delle intercettazioni. Ben sapendo che cadono in un momento delicato della vita politica, e particolarmente delicato per Alfano. Ma, come dice ieri un vecchio pm, scherzando ma non troppo, «per la politica non è mai il momento, a meno che non aspettiamo cinquant'anni a depositare gli atti».

Quando si sono imbattuti nella voce dell'allora ministro della Giustizia, gli investigatori della Finanza e il pubblico ministero Luigi Orsi, hanno però dovuto prendere atto di un problema ulteriore: la evidente irrilevanza della conversazione dal punto di vista penale. Non solo per il reato di aggiotaggio, relativo al controllo occulto dei trust esteri, contestata a Ligresti, ma nemmeno per altri reati configurabili a carico di Alfano. Certo, c'è la dimestichezza tra i due, la richiesta di una casa per un collaboratore. Ma, come si fa notare negli ambienti investigativi, nessuno sapeva allora che Ligresti fosse sotto inchiesta. E fin quando era in sella, il suo universo di riferimento era quello di uno degli uomini più potenti del paese. Tanto che non è escluso che, a ben frugare, in quelle intercettazioni salterebbe fuori il nome di qualche altro politico in buoni rapporti con l'Ingegnere.
Di fronte alla irrilevanza penale, la Procura ha scelto di non chiedere l'utilizzo dell'intercettazione (come invece era stato fatto per quelle di Fassino e di D'Alema sulla scalata Unipol, considerate assolutamente rilevanti ai fini dell'inchiesta). Perché allora depositarla comunque agli atti, rendendola di fatto pubblica? Per il semplice motivo che non ci sono alternative, secondo i pm. Se al pubblico ministero venisse concesso di fare sparire dal fascicolo i documenti che, a suo insindacabile giudizio, ritiene inutili, gli verrebbe dato un potere abnorme. Il rischio sarebbe la sparizione anche di intercettazioni potenzialmente utili alla difesa.

Altro paio di maniche è quando, come accaduto a Palermo, a venire intercettato è il capo dello Stato, cui la Corte Costituzionale ha riconosciuto prerogative di intangibilità quasi assoluta, intercettazioni comprese.

Ma Alfano non è il presidente della Repubblica.

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