Nodo giustizia e caos a sinistra: due mine sulle larghe intese

Già finita la «pax lettiana»? Un'accelerazione improvvisa, clima che si surriscalda sul mattone più traballante dell'alleanza Pd-Pdl: la giustizia. La ragnatela giudiziaria si stringe attorno al leader Pdl, nel giro di pochi giorni o anche ore, con la sentenza di condanna a Milano, la richiesta di rinvio a giudizio a Napoli (corruzione e finanziamento illecito), e la richiesta di condanna della Boccassini sul caso Ruby, attesa per settimana prossima. Grillo fiuta il momento e lancia una palla avvelenata in campo Pd sulla scia della condanna in appello del Cavaliere e delle tensioni Pd-Pdl su Nitto Palma alla commissione Giustizia: una mozione parlamentare per cacciare Berlusconi dal Parlamento. Grillo detta la linea sul blog: «In un qualsiasi Paese democratico un personaggio come Berlusconi sarebbe in carcere o allontanato da ogni carica pubblica, da noi è l'ago della bilancia del Governo».
Spiega la capogruppo Lombardi, ricalcando l'appello firmato dal giurista Rodotà, nuovo eroe del Pantheon grillino: «Chiederemo l'ineleggibilità di Silvio Berlusconi in Parlamento in base alla legge del 1957 per cui i titolari di una concessione pubblica e i rappresentanti legali di una società che fa affari con lo Stato non possono essere eletti e per la condanna di ieri in merito all'interdizione a pubblici uffici». Strumento giuridico in realtà spuntato, perché difficilmente applicabile a Berlusconi, a giudizio del presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida («Berlusconi non è più il rappresentante legale dell'azienda di cui è proprietario»). Non solo, il ricorso all'ineleggibilità del fondatore di Fininvest non è una novità, è stato già presentato in Parlamento tre volte, nel '94, poi nel '96 e nel 2001. Ma bocciato dalla Giunta delle elezioni della Camera, perché Berlusconi non è titolare di concessioni televisive «in nome proprio», cioè in prima persona, né come «rappresentante legale di società».
Se in punta di diritto vacilla, il senso politico di quella mossa grillina però avrebbe un effetto reale, dirompente. Perché, messi di fronte al voto sulla ineleggibilità di Berlusconi, già condannato, come si comporterebbero i franchi tiratori del Pd? Un partito che ha scelto Franco Marini - fondatore del Pd - per il Quirinale e poi lo ha impallinato, che ha poi votato all'unanimità la soluzione Prodi per poi umiliarlo allo scrutinio, come riuscirà a restare nei ranghi dovendo votare non su un ulivista, ma sul ventennale nemico del centrosinistra? L'esito è difficile da prevedere, il caos dentro il Pd molto probabile. La giustizia sembra già aver offerto a Grillo la killer application per far saltare il banco delle larghe intese facendo scacco al «pdmenoelle».
Ma ad un voto su Berlusconi si potrebbe arrivare indipendentemente da Grillo. Nel caso di una conferma in Cassazione della condanna sui diritti tv, la palla passerebbe al Parlamento, segnatamente alla Giunta delle immunità parlamentari del Senato (Berlusconi è senatore), cioè l'organismo che decide sull'incandidabilità e la decadenza dai pubblici uffici. A guidare quella giunta, tradizionalmente assegnata all'opposizione, è stato messo, prudentemente, il senatore Raffaele Volpi della Lega (partito extra maggioranza).

La presidente piddina della Commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, a Sky Tg24 dice che sì, in quel caso voterebbe per l'esclusione di Berlusconi dal Parlamento. E sarebbe il capolinea delle larghe intese. Sempre che non si arrivi prima.

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