Non sembra ieri

Era il sedicesimo anniversario della strage di Capaci, ieri, e magari potremmo ricordare che Giovanni Falcone era favorevole alla separazione delle carriere, che era favorevole a un controllo istituzionale sull’attività del pubblico ministero, che denunciava il correntismo politicizzato del Csm, che negava l’esistenza di terzi livelli mafiosi, che giudicava rozzo chi attribuiva a lui quest'ultima teoria. Potremmo ricordare che Falcone incriminava i pentiti quando li riteneva calunniosi, che lamentava certa cultura del sospetto, che dubitava del feticismo di certa obbligatorietà dell’azione penale: di questo, anche di questo, si potrebbe fornire ampia rassegna, al pari degli ignobili allarmismi di chi, per anni, ha esorcizzato posizioni come quelle di Falcone per attribuirle direttamente alla P2 di Licio Gelli.

Ma fare questo, ora, parlar bene dei morti per demolire i vivi, suona ormai stanco e triste.

La voglia di raccontare le orrende strumentalizzazioni a cui Falcone fu sottoposto (dalla sinistra, dal Csm, da tanti professionisti antimafia tuttora in gran spolvero) è sempref orte, e a rileggere certe vecchie carte ti risale l’adrenalina. Forse non ci sarà mai pacificazione, alcun nuovo clima, nessun dialogo attorno a certe questioni. Il massimo sforzo bipartisan che da queste parti si può fare, che una persona dignitosa può fare, è tacere.

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