Nei prossimi mesi il nuovo governo, se ci sarà, dovrà fare una manovra economica da 10 miliardi di euro. A ciò si aggiunga la questione Imu (che l'attuale esecutivo considera ormai una tassa permanente), l'aumento dell'Iva e la nuova tassa sui rifiuti. Questo sul fronte delle entrate. Dal lato delle uscite come minimo dovrà occuparsi del rifinanziamento della cassa integrazione. Insomma altro che manovrina estiva. E ancora non ha fatto nulla: si tratta infatti di ordinaria (si fa per dire) amministrazione. L'imprevisto, scusate il gioco di parole, è poi già previsto. Nessuno può ritenere che le entrate fiscali siano al livello dell'anno scorso. Facciamola semplice: nel solo 2012 abbiamo perso un milione di posti di lavoro, il che vuol dire meno imposte sui redditi, meno consumi, meno Iva. E nei documenti dell'attuale governo non si legge questo scenario.
In questo contesto l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un ministro dell'Economia che sia un ragioniere. I mandarini dei conti e gli alti funzionari dei ministeri economici sono figli di un pensiero unico. Mainstream. Hanno un approccio ragionieristico ai problemi: tasso un settore che vale tot e ricavo tot. Non sono ipotizzabili (anche per gli abusi del passato) interventi espansivi che si autocoprano fiscalmente. È il riflesso di anni di irresponsabilità fiscale, che però ha generato oggi una reazione uguale e contraria. Non ci sono margini di manovra nel nostro bilancio. Ma soprattutto non c'è la voglia di cambiare paradigma economico. Si considera la variabile produttiva (famiglie e imprese) come una dato acquisito. Si applicano modelli matematici dell'altro secolo. E sia chiaro: non stiamo neanche affrontando il tema dell'euro.
Dal ministero di via XX settembre deve partire la rivoluzione. Che è fondamentalmente culturale. Il Paese non è un dato macroeconomico, è un corpo vivo e reattivo agli stimoli. Ma ha bisogno di una iniezione di fiducia massiccia, non omeopatica, per potersi riprendere.
Non serve un ragioniere, non serve un economista, non serve un grande banchiere. È necessaria una visione, un punto di arrivo. Il problema, ce ne rendiamo conto, alla fine è quello di compilare un Documento economico e finanziario che sia accettabile da Bruxelles. Ma siamo arrivati al momento giusto per dare un segnale di rottura. Il modello europeo di crescita scricchiola.
di Nicola Porro
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