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Oblio oncologico, si avvicina una legge per i guariti dal tumore

Che si tratti del posto di lavoro o di un'assicurazione, in Italia i guariti di tumore sono sempre ancora obbligati a dichiarare le proprie patologie. Ora una legge vorrebbe cambiarlo

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Quando si parla di oblio c’è una grande approssimazione. C’è chi pensa subito alla rimozione globale dei contenuti da internet, trascurando il fatto che si tratti di una mera illusione. È stato più volte dimostrato, infatti, che nei meandri del web sono nascoste spesso informazioni che si credevano cancellate per sempre e che invece riaffiorano all’improvviso grazie all’imperscrutabile memoria della Rete. Eppure c’è chi, pur non avendone diritto, continua a chiedere ai motori di ricerca e, peggio ancora, agli archivi dei giornali on-line, di rimuovere contenuti scomodi. Ci provano perfino ex terroristi o persone ancora sotto processo. Chi invece avrebbe tutto il diritto all’oblio e non se lo vede ancora riconosciuto per legge sono i guariti dal tumore.

Le discriminazioni per chi ha avuto il cancro

I malati di tumore che sono guariti e che chiedono di poter tornare a una vita normale anche sul piano della piena fruizione dei propri diritti sono in Italia circa un milione. Oggi sono obbligati a dichiarare le proprie patologie tumorali pregresse quando sottoscrivono un contratto di lavoro o una polizza assicurativa, quando chiedono un mutuo o quando provano ad accedere ad un’adozione. Il loro calvario passato li perseguita anche dopo la guarigione, al punto che si vedono precluso l’accesso ad opportunità che sono invece normalmente riconosciute a quanti non sono mai entrati nel tunnel del cancro. A queste persone vengono imposti costi più elevati o condizioni più onerose e discriminatorie proprio in ragione della loro storia clinica.

In Europa esiste già l’oblio oncologico

Francia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo una legge sull’oblio oncologico ce l’hanno già. La Spagna sta per emanarla. Il Parlamento europeo, con una risoluzione del febbraio 2022, ha chiesto che “entro il 2025, al più tardi, tutti gli Stati membri garantiscano il diritto all’oblio a tutti i pazienti europei dopo dieci anni dalla fine del trattamento e fino a cinque anni dopo la fine del trattamento per i pazienti per i quali la diagnosi è stata formulata prima dei 18 anni di età”. Secondo cifre diffuse dalla Fondazione Veronesi, in Europa ci sono 20 milioni di persone in vita dopo aver ricevuto una diagnosi di tumore. Tra loro, 7 milioni (il 35%) sono persone che hanno ricevuto l’ultima diagnosi da almeno 10 anni e che da allora non hanno avuto ricadute. Anche in Italia i dati sono sempre più incoraggianti perché il numero delle persone che vive dopo una diagnosi di tumore cresce del 3% all’anno.

In Italia una legge entro fine anno?

La notizia confortante è che anche il nostro Paese sta per dotarsi di una base giuridica in materia, se è vero che all’esame della Commissione affari sociali della Camera ci sono ben 4 progetti di legge bipartisan, che potrebbero presto essere unificati. I principi che accomunano i vari disegni di legge sul tappeto possono riassumersi nel divieto di chiedere informazioni o di ricorrere a clausole su una pregressa patologia oncologica in diversi ambiti: dalla stipula di contratti di assicurazione e servizi bancari e finanziari alle richieste di adozione, fino ad arrivare ai casi di partecipazione a un concorso. Se i testi all’esame della Commissione non dovessero subire stravolgimenti, il diritto all’oblio oncologico dovrebbe scattare dieci anni dopo la fine delle terapie, a meno che la diagnosi tumorale non sia intervenuta prima del compimento dei 21 anni, nel qual caso basterebbero cinque anni per ottenere la cancellazione del proprio passato di paziente oncologico.

Entro fine anno la legge potrebbe vedere definitivamente la luce.

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