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Opposizione surrogata

Spesso quando la politica lascia dei vuoti, ci sono altri soggetti che ne riempiono lo spazio

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Spesso quando la politica lascia dei vuoti, ci sono altri soggetti che ne riempiono lo spazio. È una legge della fisica dei fluidi che può essere anche applicata alla politica. È inevitabile e, magari, a volte non è neppure intenzionale. Motivo per cui se oggi un'opposizione divisa e distratta dai propri miraggi ideologici arranca, c'è chi per un motivo o per l'altro finisce per farne le veci. Soggetti «parapolitici» come il sindacato, visto che la Cgil non ha mai smesso di fiancheggiare la sinistra politica. O addirittura istituzionali come Bankitalia, che avendo ceduto molti poteri alla Bce è diventata una sorta di ufficio studi di prestigio che svolge un'azione di stimolo nei confronti del governo. O ancora la Corte dei Conti che interviene sul Pnrr con il rischio di rendere più complicato uno sforzo già di per sé difficile per l'esecutivo.

Le ragioni sono molteplici, specie quando c'è un cambio di stagione profondo come quello determinato dalle ultime elezioni, per cui il vecchio establishment ha pochi rapporti e magari nutre una diffidenza innata verso i nuovi governanti. Così visto che il Pd e i 5stelle appaiono poco efficaci e ininfluenti, nella dialettica politica salgono alla ribalta i potenziali supplenti. È già successo in passato: lo scontro al fulmicotone tra il governatore Ignazio Visco al momento della sua riconferma nel 2017 e il potente di turno di allora Matteo Renzi, fu memorabile. Oggi per Visco, arrivato irrimediabilmente a fine carriera, non si pone neppure il problema di una permanenza al vertice dell'Istituto di via Nazionale, per cui può togliersi i sassolini dalle scarpe: lancia segnali al governo sui ritardi del Pnrr, sposa la posizione di grillini e Pd sul salario minimo, storce la bocca sulle ricette fiscali che piacciono al centrodestra. Il paradosso è che su questi temi il governatore echeggia gli slogan di Maurizio Landini e della Cgil che non digeriscono neppure gli industriali. Così va il mondo.

Discorso analogo si può azzardare sul protagonismo della Corte dei Conti sul Pnrr. Tutti sanno che il piano ha un cammino complicato, non fosse altro perché ci sono stati tre governi (Conte, Draghi e ora Meloni) che ci hanno messo bocca e una crisi energetica, con conseguente inflazione, che ha messo sottosopra i preventivi di spesa. È necessario velocizzare i tempi e, quindi, sarebbe auspicabile un impegno collettivo nell'opera di facilitazione. Invece alle difficoltà burocratiche si aggiunge un atteggiamento della Corte dei Conti che punta a svolgere la sua funzione di controllo a monte, addirittura durante il processo decisionale del governo, e non a valle, cioè a cose fatte. Un atteggiamento che invece di spianare gli ostacoli li raddoppia, al punto che l'esecutivo è stato costretto ad escludere i magistrati contabili dal «controllo concomitante».

Per evitare fraintendimenti, diciamo subito che i comportamenti delle nuove opposizioni, (sindacato, Bankitalia e Corte dei Conti), sono legittimi, ci mancherebbe. Solo che la sfida del Pnrr dovrebbe coinvolgere tutti, l'intero sistema Paese. Invece si ha l'impressione che sia diventata terreno di battaglia per l'eterno scontro tra Guelfi e Ghibellini.

Terreno di battaglia senza vinti e vincitori, ma con una vittima: l'interesse nazionale.

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