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Ora basta con la Merkel

Il premier inizia il suo tour europeo da Berlino e chiede: "Più crescita e meno rigore» La Cancelliera: «L’Italia ha compiuto un pezzo di strada", ma non fa concessioni

Ora basta con la Merkel

Enrico Letta dice cose sag­ge e subito scatta l’ironia con battute trite e ritrite: oddio, moriremo demo­cristiani; oddio, siamo tornati alle prediche melense di Mariano Ru­mor. Ma se abbiamo rianimato la Dc dopo averla seppellita, forse un motivo c’è. La rimpiangevamo? Avevamo nostalgia dei suoi meto­di dolci e rassicuranti da sacre­stia? Può darsi. È un fatto che per uscire dall’impasse, scartato ogni altro piano, ci siamo rivolti a un gio­vane- ma di antico stampo- demo­cratico cristiano e in lui abbiamo ri­posto fiducia, ascoltando con pia­cere il suo tono pacato e convin­cente. Ci illudiamo che abbia det­to la verità e che il suo programma ben congegnato trovi riscontro nella realtà, venga cioè realizzato almeno al 50 per cento: sarebbe già molto, abituati come siamo al­le patacche. Non importa se Letta fino a un paio di settimane fa dichiarava ogni due minuti che un’alleanza Pdl-Pd fosse inimmaginabile. Ha cambiato idea lui o gliel’ha fatta cambiare Giorgio Napolitano? Non lo sapremo mai né vogliamo saperlo.Sta di fatto che egli ora par­la come se fosse l’inventore dell’ac­qua calda: questo governo - dice ­non aveva e non ha alternative se non il ritorno alle urne, l’equiva­lente del suicidio. Ha ragione. Noi nel nostro piccolo questo concet­to, di cui il presidente del Consi­glio si è appropriato, lo andavamo ripetendo dal 25 febbraio: o una co­alizione fra i due partiti avversari (Pdl-Pd) o buio pesto.
Letta si è reso conto di ciò e in pochi giorni ha varato un esecutivo in grado di durare, almeno sulla carta. Poi vedremo. Se tutto andrà bene, sarà perché la buo­na volontà
nella maggioranza avrà scon­giurato la riaccensione delle solite pole­miche che hanno caratterizzato gli ulti­mi vent’anni, avvelenando il clima politi­co nazionale. I primi segnali lanciati da Letta sono in­coraggianti. Dimostrano senso di re­sponsabilità e consapevolezza dei pro­blemi. Specialmente quelli creati dal­l’Europa con le sue regole ferree e illogi­che, tendenti a soffocare l’economia con­tinentale, in generale, e, in particolare, la nostra, oberata da un debito pubblico mostruoso. Il neopremier ne ha accenna­to esplicitamente: bisogna rinegoziare i protocolli e rivedere i parametri relativi al rapporto fra Pil e spesa. Se egli riuscirà nell’intento di allentare ilacci e i lacciuo­li imposti dalla Ue, la speranza di supera­re la crisi non sarà vana. Altrimenti il Pae­se rimarrà al palo, condannato alla reces­sione continua e all’immiserimento. Il successo del governo dipende dall’auto­nomia d’iniziativa che l’Italia sarà capa­ce di ottenere dai burocrati comunitari.
Letta poi ha toccato il punto dolente che mai nessuno aveva osato sfiorare: la moneta unica. Era ora. Finalmente l’eu­ro non è più un tabù e se ne può discutere
senza suscitare l’impressione di offende­re il sentimento europeista. Già. Sarem­mo europeisti se l’Europa ci fosse davve­ro. Invece non c’è. È una finzione, una scatola vuota di contenuti politici e cultu­rali e piena di divieti e leggi assurde. E sa­remmo lieti di avere l’euro se fosse l’espressione di popoli uniti anziché di fi­nanzieri e banchieri inclini alla specula­zione.
Anche qui è necessario un intervento chiarificatore: se Letta si rivelerà all’al­tezza di una simile delicata impresa, il nostro futuro sarà meno nebuloso.

Il Pae­se, in due parole, per risorgere deve ri­muovere le cause che l’hanno ammazza­to.

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