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Ora D'Alema ammette: "Berlusconi sui magistrati ha avuto qualche ragione"

L'ex presidente del Consiglio spende parole al miele per il Cav: "Era un combattente, suscitava simpatia. La sua carta vincente? Una miscela geniale di tradizione e innovazione"

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Alla fine capita che Massimo D'Alema si trova ad ammettere che in fondo Silvio Berlusconi aveva più di qualche motivo nell'avanzare perplessità sull'operato di alcuni giudici nei suoi confronti. L'ex presidente del Consiglio, intervistato dal Corriere della Sera, non ci ha girato attorno e lo ha dichiarato in maniera esplicita. Allo stesso modo non sono mancate parole al miele verso il Cav, confermando la sua innata empatia che metteva in risalto il lato umano oltre che quello politico.

I rapporti tra D'Alema e Berlusconi

D'Alema si è detto molto dispiaciuto dopo aver appreso la notizia sulla morte di Berlusconi. Nonostante le profonde divergenze e il duello politico tra i due non si è esentato dal riservare considerazioni assolutamente positive per colui che è stato per diverso tempo il principale avversario da battere: "Era un combattente. Un avversario, certo, ma un uomo capace anche di suscitare ammirazione e persino simpatia dal punto di vista umano".

Una parte della sinistra sta protestando contro la decisione del lutto nazionale, bollandola come una scelta inappropriata per un personaggio politico ritenuto eccessivamente divisivo. Per D'Alema invece si tratta di una materia che dovrebbe restare al di fuori delle polemiche. "È una decisione che corrisponde a un sentimento non di tutti, certo, ma di una parte importante degli italiani", ha riconosciuto.

Il primo incontro tra i due risale al 1992, precisamente in un ufficio di Fininvest a Roma alla presenza anche di Confalonieri: in quel momento D'Alema era capogruppo alla Camera del Pds e a Montecitorio si stava discutendo di un provvedimento che stava molto a cuore al Cav. "Berlusconi fu bravissimo: per tutta la durata dell'incontro non fece mai riferimento alla legge che gli interessava", ha rivelato l'ex presidente del Consiglio.

Berlusconi si era detto "molto contento" di averlo conosciuto e anche in quell'occasione non aveva rinunciato al suo spirito umano, regalandogli Il principe di Machiavelli (un libro edito da lui e con una sua prefazione): "Ci salutammo con cortesia. Quanto a quel provvedimento, noi continuammo a opporci e alla fine non passò".

Le elezioni del 1994

Le elezioni del 1994 hanno segnato profondamente l'Italia: attorno alla figura di Berlusconi si erano addensate importanti porzioni di elettorato liberale, socialista e democristiano ricollocati nell'ambito del centrodestra. Fin da subito D'Alema aveva percepito che il Cav avrebbe trionfato alle urne, anche perché una buona parte dell'elettorato salentino del suo collegio di Gallipoli stava via via andando verso il candidato di Berlusconi: "Mi resi conto che lui era riuscito a mobilitare il corpo profondo del moderatismo italiano contro 'il pericolo comunista'".

In questi anni in molti si sono interrogati su quale sia stata la carta vincente dell'ex leader di Forza Italia. Per D'Alema il vero segreto è stato quello di riuscire non solo ad attirare il voto conservatore ma anche a riempire il vuoto lasciato dalla caduta del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani): "Nel nome dell'anticomunismo ma anche presentandosi come 'il nuovo' contro la vecchia politica dei partiti. Una miscela geniale di tradizione e innovazione".

La persecuzione giudiziaria

Al centro di analisi e riflessioni è finita pure quella che il Cav più volte ha definito una vera e propria persecuzione giudiziaria ai suoi danni, un eterno imputato che si è visto prendere di mira con una serie di imputazioni. Ha avuto qualche ragione nel ritenersi perseguitato da alcuni giudici? "Probabilmente sì", ha affermato D'Alema. Secondo cui Berlusconi ha sollevato un "problema reale" ricorrendo però a un approccio e a un angolo di prospettiva che a suo giudizio è stato sbagliato.

Per l'ex presidente del Consiglio l'errore è stato quello di interpretare il tutto come un complotto nei suoi confronti. Invece dal suo punto di vista in Italia si era determinato "uno squilibrio nei rapporti tra poteri dello Stato". All'indebolimento del sistema dei partiti è seguita "una crescita del potere 'politico' della magistratura": ritiene che quest'ultima si sia arrogata il compito di fare qualcosa di più che perseguire i reati, "come per esempio vigilare sull'etica pubblica e promuovere il ricambio della classe dirigente".

D'Alema ha concluso sostenendo che alla luce del clima creato dallo scontro tra Cav e giudici "non è stato possibile fare nessuna riforma".

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