Gli orfani di Berlusconi ora sparano sul Senatùr

I giustizialisti cambiano il bersaglio ma non il metodo

Gli orfani di Berlusconi ora sparano sul Senatùr

«Dalla Padania alla Tanzania»,titola­va ieri il suo editoriale di prima pa­gina il Fatto quotidiano : e chissà oggi che cosa scriverà. Lo tsunami che s’è ab­battuto improvviso sulla Lega e che punta drit­to al cuore del Carroccio, verso Bossi, la sua fa­miglia e il «cerchio magico» dei suoi più stretti collaboratori, è miele per le operose api giusti­zialiste rimaste orfane di Berlusconi.

In Italia gli scandali e le inchieste non manca­no di sicuro, e l’ultimo mese ne ha fornito una rassegna esauriente: dalla Lombardia alla Pu­glia, dal Pd al Pdl non si salva nessuno. E la pac­cata di milioni della defunta Margherita inve­stiti da Lusi in ville, conti off­s­hore e spuntini a base di ca­viale basterebbe in un paese civile a sospendere una vol­ta per tutte il finanziamento pubblico già abrogato per via referendaria. Ma finora era mancato il colpo grosso, l’affondo a sensazione, la spallata mediatica, e il fron­te dei manettari, in attesa di tempi migliori, si era riversa­to a presidiare l’articolo 18 insieme alla Fiom.

Con Bossi nel mirino, la caccia è riaperta. E la solidarietà personale subito espressa da Berlu­sconi, va da sé, non fa che aggravare agli occhi dei giustizialisti la già precaria condizione del Senatùr, di cui anzi certifica la colpevolezza: proprio come il suo vecchio alleato,anche Bos­si dev’essere espulso dal campo della politica e affidato alle procure - tre, questa volta, fra cui l’immancabile Procura di Napoli nella perso­na dell’indomito Henry John Woodcock.

Italo Bocchino, che del pm inventore della P4 è un buon amico, ha twittato come una Guz­zanti qualunque: «Povero Bossi, gli hanno ri­strutturato la casa a sua insaputa ». Il che, detto dal braccio destro del cognato del proprietario di un noto appartamento di Montecarlo lascia­­to in eredità al partito, lascia quantomeno per­plessi. Il delfino di Fini ave­va già espresso il suo pensie­ro il mese scorso, quando il presidente del Consiglio re­gionale della Lombardia, il leghista Boni, era stato rag­giunto da un avviso di garan­zia: «La Lega è il partito più partitocratico che esiste, il partito più clientelare che esiste, il partito più abituato ad occupare le poltrone ed è il partito a cui è capitato molto spesso quello che sta capitando ora con Boni». Addirittura.

Sempre da Napoli si leva il preoccupato com­mento di Luigi De Magistris: «Bossi - ricorda ­ha già avuto una condanna per finanziamenti illeciti nell’inchiesta Enimont,sembra archeo­logia giudiziaria, ma è realtà» (per la cronaca: allora il tesoriere era Alessandro Patelli e Bossi lo definì «un pirla»). E conclude sostenendo che le mafie più ricche sono al Nord, perché il Nord è più ricco: «È la conferma di quello che ho sempre pensato sulle vicende oscure e in­quietanti della Lega Nord».

E se si parla di «mafie», non può mancare il giovane papa dell’antimafia. Il quale, come s’addice a ogni vera pop star,quando vuol par­lare di qualcosa in realtà parla soltanto di sé, di quant’è bravo e di quanto è perseguitato: «Un anno fa- ha ricordato Roberto Saviano- fui mol­to­attaccato dalla Lega e da Maroni per aver usa­to una parola che descriveva il rapporto tra ’n­drangheta e potere nel Nord Italia, cioè “inter­loquire”, una parola che aveva messo inquietu­dine e paura ai leghisti. Avevo detto che la ’n­drangheta interloquiva con tutti i poteri del nord e quindi anche con la Lega». Che argo­mentazione brillante! Da un lato, ciò che conta per lo scrittore è che si parli di lui: l’inchiesta è importante non perché cerca la verità, ma per­ché conferma una sua predica televisiva del­l’anno scorso; dall’altro lato anche Saviano,co­me i suoi amici giustizialisti, non esita a prende­re per oro colato le tesi dell’accusa per trasfor­marla il giorno stesso in condanna definitiva.

È indubbio che la Lega si trovi oggi in un bel guaio,politico e d’immagine ancor prima (e an­cor più) che giudiziario. Ma qualche cautela in più, qui come in tutte le vicende che intreccia­no politica e giustizia, sarebbe utile e vantag­giosa per tutti.

L’eliminazione dell’avversario per via giudiziaria non è soltanto una scelta in­civile: è anche una scelta inutile, il cui unico ri­sultato è la politicizzazione della giustizia, e dunque la sua abrogazione.Se nell’era dei tec­nici si riuscisse a condurre e a valutare un’in­chiesta tecnicamente, e non politicamente o emotivamente, a guadagnarci per prima sareb­be proprio la giustizia.

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