
Sono due anni che Silvio Berlusconi ci ha lasciato e nel vedere come oggi viene ricordato vale la pena parafrasare Voltaire: gli uomini non vogliono rendere giustizia ai vivi, ma la concedono ai morti. Anche se sapendo quanto amasse l'Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam magari Berlusconi avrebbe preferito un altro adagio che ricorda le lettere sul romanticismo di Victor Hugo: «In vita lo chiamarono pazzo, da morto lo chiamano genio». Sicuramente l'Italia tutta, non solo quella che l'ha sempre amato o venerato, ha scoperto le virtù del Cavaliere quando è passato a miglior vita. Anche chi lo ha criticato, lo ha combattuto, ha addirittura costruito una carriera sull'odio verso di lui, oggi gli riconosce dei meriti. È assurdo, incredibile, per alcuni versi stravagante, ma è così: i riconoscimenti che gli hanno negato per tutta la sua esistenza, gli vengono concessi adesso che si percepisce la sua assenza.
È il paradosso che accomuna spesso gli statisti: oggi Alcide De Gasperi è un riferimento per tutti in Italia, nel '48 era il nemico da abbattere per i comunisti; e in America Ronald Reagan, cioè il presidente repubblicano venuto da Hollywood su cui l'élite progressista ha sempre ironizzato, ha ricevuto attestati di stima postumi anche da democratici di provata fede, diventando un totem per l'intera America.
Nel Paese dei guelfi e dei ghibellini la rivalutazione del Cavaliere fa ancora più impressione: lo hanno contestato, perseguitato, criminalizzato, lo hanno considerato per natura divisivo, e invece ora, in pubblico o in camera caritatis, tutti gli riconoscono delle qualità. Un ruolo e delle intuizioni che oggi purtroppo nel Belpaese scarseggiano. Al punto che anche chi non ti aspetti tradisce un sentimento di nostalgia.
Non potrebbe essere altrimenti. Da imprenditore, da manager e ancor più da politico, Berlusconi ha guardato sempre avanti. Un'intelligenza proiettata nel futuro in un Paese pieno di contraddizioni. Ha capito prima di altri che una giustizia politicizzata avrebbe portato il «sistema» al collasso. Esattamente nel luglio di 23 anni fa parlò per la prima volta della separazione delle carriere tra giudici e pm, una norma che sta per diventare realtà e che fra qualche mese sarà consacrata - ci scommetto - pure da un referendum sostenuto dalla maggioranza degli italiani, a differenza di quelli naufragati la scorsa domenica. Com'è nel dibattito l'idea di non dare all'accusa la possibilità di ricorrere in appello in caso di assoluzione: una proposta avanzata dal Cavaliere nel lontano 2006. E ancora un fisco giusto ed equo per tutti, dalle partite Iva al ceto medio, o l'ipotesi della flat tax, sono argomenti su cui Berlusconi ha costruito un partito negli anni '90: oggi sembra preistoria. L'elenco è lungo: dal divieto di fumo all'aumento delle pensioni minime, dall'esercito europeo allo spirito di Pratica di Mare per mettere d'accordo la Russia e la Nato. Una dottrina quest'ultima ripresa senza citarlo da chi lo ha criticato in vita e in morte come Marco Travaglio.
Appunto, i pentiti più o meno confessi non scarseggiano: l'attuale responsabile giustizia del Pd addirittura appoggiò la separazione delle carriere, salvo poi per obblighi di partito cedere alla tradizionale marcia indietro. Giuseppe Conte, leader di un movimento animato fin dalla nascita da un profondo risentimento verso il Cav, oggi è convinto a proposito della libertà di stampa che «a confronto della Meloni Berlusconi era un profondo democratico». E un personaggio che ha duellato con il Cav per anni come Massimo D'Alema non si è nascosto dietro ad un dito dopo la sua morte su un argomento delicato: «Forse Berlusconi aveva ragione a ritenersi perseguitato da alcuni giudici».
Eh già, più la Storia attutisce le volgarità e le strumentalizzazioni della cronaca e più appare chiara, evidente, palese l'ingiustizia che il Cav ha patito in vita. Una profonda ingiustizia: trent'anni trascorsi al servizio del Paese ripagati con due anni di servizi sociali.
Ha fondato, ha interpretato ed ha caratterizzato il «bipolarismo», cioè il sistema che ha governato l'Italia per trent'anni: più del Ventennio, poco meno della prima Repubblica. Ha dato speranza negli anni gloriosi e ha avuto il coraggio di soccorrere - e di sacrificarsi - per il Paese negli anni difficili. Ma nessuno gli ha mostrato riconoscenza in vita.
Oggi, però, tutti si accorgono quanto sia profonda la sua orma nella politica italiana. E anche tra gli avversari c'è chi lo rimpiange. Appunto, per tornare a Voltaire: gli uomini non vogliono rendere giustizia ai vivi, ma la concedono ai morti.