Parte il «redditest». Ma non batterà l'evasione

Il nuovo redditometro non è stato annunciato ai contribuenti dal ministro dell'Economia o dal presidente del Consiglio che, pure a più riprese ha fatto riferimento, anche di recente, all'esigenza della lotta all'evasione fiscale, ma dal dottor Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle Entrate, giunto al vertice dell'amministrazione fiscale per la sua competenza tecnica acquisita nelle banche, che è certamente (...)

(...) altissima, ma non nel diritto tributario. Il nuovo redditometro, per effetto di una legge del 2010, è composto di cento (diconsi cento) parametri di spesa, una parte dei quali ricavati dai dati relativi al comportamento del contribuente e altri presunti, sulla base delle caratteristiche sue e della sua famiglia. È come un coltello: può servire per tagliare il burro e anche per ammazzare per sbaglio un coniuge nel corso di una rissa per gelosia.
Il dottor Befera ha dichiarato che 4 milioni di contribuenti non sono in linea coi dati del nuovo redditometro. Il margine di tolleranza che esso prevede dovrebbe essere il 20 o 25%, al netto di redditi di diversa natura, che non sono oggetto di dichiarazione (perché tassati con cedolare secca, a catasto, esenti, tassati all'estero). Non è chiaro se i 4 milioni di soggetti non in linea (il che non vuol dire non in regola, per le ragioni appena dette), siano tali al lordo del 20-25% di deviazione o dopo avere aggiunto al reddito dichiarato il 20-25% in più. Se il calcolo riguardasse questa ipotesi il 10% circa dei contribuenti dell'anagrafe fiscale sarebbe suscettibile di accertamento col redditometro, per rettificarne il reddito.
Da tempo stanno fuggendo dalle nostre banche i depositi, in quanto molti temono che l'obbligo di mandare al fisco i dati dei conti correnti, da poco introdotto, generi controlli sulle spese, che potrebbero fare scattare accertamenti a loro carico. Ed ora è ufficiale che esiste uno strumento informatico che può dare luogo a ciò per 4 milioni di soggetti, individuati col calcolatore, più altri che possono reperire in altri modi. È certo che in Italia esiste una vasta evasione fiscale (altrove, come negli Usa, essa è legalizzata grazie a trucchi come quelli che consentono al miliardario Mitt Romney di pagare il 15% con un reddito di 450 milioni di dollari), ma c'è anche una grossa incertezza sul modo di accertarla. Cui si aggiunge l'incertezza sulle conseguenze per sovrattasse e pene pecuniarie, pene detentive e collaterali (ritiro di licenze di esercizio e simili).
Pertanto urgono chiarimenti, su chi e come sarà sottoposto a questi controlli. E ciò non da parte del direttore di una agenzia pubblica che, per quanto autorevole, non si identifica col ministero nei suoi poteri di emanazione di decreti attuativi delle leggi ma da parte del ministro o dei sottosegretari competenti. E inoltre, dato che, come sembra, non si tratterebbe più di un controllo suppletivo a quelli analitici a campione delle dichiarazioni dei redditi, ma di un accertamento sostitutivo dell'analitico e dato che sarebbe il contribuente a dover fornire la prova contraria, appare necessario che le conseguenti valutazioni si inseriscano nel principio «ravvedimento operoso». Questo è un istituto che chiama il contribuente a collaborare con il fisco, consentendogli di rettificare la sua dichiarazione con un patteggiamento e un minimo di sanzioni, puramente costituite da limitate sovratasse. Il patteggiamento sull'importo della rettifica del reddito è necessario anche per evitare un contenzioso di esiti incerti. Ivi comprese le eccezioni di incostituzionalità per violazione del criterio di capacità contributiva. Infatti le stime del nuovo redditometro sono di tipo statistico medio, sulla base di presunzioni, ed includono spese di capitale che si fanno con redditi cumulati o cedendo altri cespiti patrimoniali.
In situazioni di questo genere bisogna ben ammettere che non si tratta di quote oggettive di reddito, come gli importi che un datore di lavoro paga a un lavoratore o un medico o un avvocato o un idraulico o un gioielliere ricevono sulla base di una fattura o ricevuta. L'incertezza è grande. E il contribuente è come una pecora che si spaventa in modo irrazionale, se vede che qualche sua compagna fugge davanti a una bestia sconosciuta. Antiche massime sul fisco dicono che le sue pecore vanno tosate senza rovinarne il pelo o farle fuggire.

segue a pagina 8

Signorini a pagina 9

di Francesco Forte

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