Un partito islamico in Italia è un pericolo

Le violenze domestiche, i matrimoni combinati, le imposizioni religiose non sono casi isolati, le cellule jihadiste smantellate in Italia non sono problemi sociali. Sono il risultato logico di ideologie

Un partito islamico in Italia è un pericolo

Caro Feltri,
sono il ragazzo che qualche settimana fa Le aveva scritto riguardo alla situazione di degrado e insicurezza che vivo ogni giorno andando all'università di Brescia. Torno a scriverLe perché, leggendo «Il Giornale» di domenica, mi sono imbattuto, con una certa inquietudine, nella notizia della nascita di una lista islamica (MuRo27) che correrà alle comunali di Roma nel 2027, insieme agli ex sindaci, Marino e Raggi. Ho la sensazione che in Italia, così come nel resto del mondo, si stia sottovalutando la crescente influenza di correnti politiche islamiche che stanno entrando sempre più spesso nelle istituzioni democratiche (come dimostra l'elezione di Mamdani a New York). La mia preoccupazione non nasce dal nulla: nasce da anni in cui assistiamo a continui attentati terroristici di matrice islamista, dal massacro del 7 ottobre in cui oltre mille civili, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi, e dalle cronache che ci raccontano di violenze domestiche e abusi sulle mogli le quali vengono considerate oggetti di proprietà del marito. Sono questi episodi che rendono legittimo interrogarsi sulle idee politiche e culturali di questi signori. Per questo credo che una lista dichiaratamente islamica e identitaria rappresenti un pericolo per i nostri valori, la nostra cultura e la nostra tradizione democratica. Credo, inoltre, che sia necessario continuare a mantenere viva l'attenzione su questo tema, perché stiamo imboccando una direzione pericolosa. Le chiedo, direttore, il suo punto di vista e quale possa essere, secondo lei, la soluzione più efficace per tutelare la nostra cultura, ma soprattutto noi.

Cordiali saluti
Giovanni Mora

Caro Giovanni,
la tua lettera è talmente lucida che basterebbe pubblicarla senza aggiungere altro. Ma poiché il mio mestiere consiste nel dire ad alta voce ciò che molti pensano e pochi hanno il coraggio di ammettere, ti rispondo con la franchezza che mi contraddistingue. La lista islamica che correrà per le comunali di Roma nel 2027 non è un dettaglio folcloristico, non è una curiosità politica né un esercizio di pluralismo democratico. È il sintomo evidentissimo di un processo che da anni fingiamo di non vedere: la costruzione, lenta e sistematica, di fette di potere politico basate su una identità religiosa incompatibile con i nostri valori occidentali, liberali, laici e costituzionali.

Lo dico senza girarci intorno: un partito identitario islamico in Italia è un pericolo.

Non perché l'islam in sé debba far paura, ma perché le correnti che oggi si affacciano nelle nostre istituzioni non rappresentano l'islam moderato e integrato che qualsiasi Stato civile accoglierebbe a braccia aperte, bensì quell'islam politico che in mezza Europa ha prodotto guai seri: fallimenti nell'integrazione, quartieri-ghetto, imposizione culturale, violenze sulle donne, rigetto della nostra democrazia e un patologico vittimismo identitario.

L'esempio che porti, l'elezione di Mamdani a New York, dovrebbe aprire gli occhi persino ai più ingenui. Quando una comunità religiosa diventa numericamente e politicamente significativa, non si limita a convivere, ma pretende di ridisegnare lo spazio pubblico a sua immagine e somiglianza. Succede ovunque: Francia, Belgio, Olanda, Svezia, Inghilterra. Ogni volta, lo schema è identico: prima si minimizza, poi si nega, poi ci si sveglia quando è troppo tardi. Tu citi il 7 ottobre.

E fai bene. Quel massacro, più di mille civili sgozzati, stuprati, bruciati, non è stato un incidente geopolitico, ma la manifestazione più estrema di una cultura che non ha nulla a che spartire con la nostra civiltà. Perché da noi le donne non sono proprietà, i bambini non vengono addestrati all'odio e la morte non è una bandiera. Altrove sì. E fingere che questi mondi possano convivere pacificamente nella stessa cornice democratica è un'idiozia che pagheremo carissima.

Il problema, caro Giovanni, è esattamente ciò che hai colto: la sottovalutazione.

L'Italia vive da anni in una specie di torpore progressista: la cultura del tutto va bene, del siamo tutti uguali, del chi critica è un fascista, ha narcotizzato un intero Paese che continua a chiamare integrazione ciò che è, nella migliore ipotesi, tolleranza passiva, e nella peggiore, resa culturale. Eppure basterebbe aprire gli occhi: le violenze domestiche, i matrimoni combinati, le imposizioni religiose non sono casi isolati, le cellule jihadiste smantellate in Italia non sono problemi sociali. Sono il risultato logico di ideologie che non riconoscono la donna come essere libero, né la nostra cultura come legittima.

E ora questi signori vogliono pure sedere nei nostri consigli comunali per rappresentare comunità che non hanno mai chiesto di integrarsi, ma solo di espandersi.

La domanda che bisogna farsi non è se sia legittimo. La democrazia permette tutto. La domanda è: è prudente? È sano per la nostra società? È compatibile con i valori su cui l'Italia si fonda?

La mia risposta, lo dico senza tentennare, è no. Qual è allora la soluzione?

Non servono né odio né guerre di religione. Serve tolleranza zero. Tolleranza zero per chi non rispetta le nostre leggi. Tolleranza zero per chi tenta di imporre modelli tribali sulla nostra terra. Tolleranza zero per chi usa la democrazia per smontare la democrazia. E soprattutto: difesa inflessibile della nostra cultura, dei nostri simboli, delle nostre radici. Perché chi rinuncia a ciò che è smette di esistere. E un Paese che non difende la propria identità è un Paese che si consegna a chiunque abbia abbastanza forza per occuparne il vuoto.

Per capirci: accogliere sì, ma alle nostre condizioni. Integrare sì, ma nella nostra cultura. Concedere diritti sì, ma solo dopo aver preteso doveri. Chi vuole vivere qui rispetta l'Italia, punto. Chi non vuole rispettarla, torna da dove è venuto.

Non è razzismo. È semplice buonsenso. È ciò che farebbe qualsiasi Stato serio.

Continua a scrivermi, Giovanni.

La vigilanza dei cittadini è la prima forma di difesa di un Paese che vuole rimanere libero.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica