Quel "peccato originale" del Pd: non avere dei valori forti condivisi

Dalla sua nascita il Pd si è sempre barcamenato tra le varie correnti senza mai avere un forte radicamento ideale. Un mix di riformismo in salsa post comunista, unito all'eredità della sinistra Dc. Unico collante: la vocazione per il potere e la tendenza all’ammucchiata elettorale

Quel "peccato originale" del Pd: non avere dei valori forti condivisi

Il partito delle scissioni, delle non-vittorie, della presunta superiorità morale. In altri termini, un fallimento clamoroso. Reduce dalla pesantissima sconfitta alle elezioni del 25 settembre, il Pd è alle prese con l’ennesimo tentativo di restyling. Con Enrico Letta destinato al ritorno a Parigi dopo una parentesi terrificante e fatta di "bandierine", la corsa per la segreteria vede contrapposti la paladina del mondo Lgbt Elly Schlein e il governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Ci sarebbe anche Paola De Micheli, ma i sondaggi la danno al 2 per cento. Resta da vedere se il partito – una polveriera ormai - arriverà intero e indenne alla votazione per la scelta del nuovo leader. Una nuova spaccatura, infatti, appare dietro l’angolo.

Nuova aria di scissione per il Pd

I dem devono fare i conti con un nuovo fronte interno. Come evidenziato dal Corriere della Sera, gli ex Popolari (eredi della vecchia Dc) sono sul piede di guerra. Tra i fondatori del Pd, Pierluigi Castagnetti (ultimo segretario del Ppi) ha biasimato senza mezzi termini l’ipotesi di un cambio radicale del manifesto dei valori del partito. “Chi lo farà, si assumerà la responsabilità delle conseguenze”, la velata minaccia. In caso di stravolgimenti sarebbe pronta un’iniziativa politica. Ma non è tutto. Nel corso di un convegno Luigi Zanda ha annunciato le sue dimissioni dal comitato predisposto per stilare la nuova carta dei valori. “Non condivido radicalmente il metodo”, la sua spiegazione. A ben vedere non c’è nulla di sorprendente in tutto ciò che sta accadendo in seno al Pd.

I valori? La vocazione al potere

Fondato il 14 ottobre 2007, il Pd è nato da una forzata fusione a freddo tra gli eredi del Pci e quelli della sinistra Dc. Un’alleanza non motivata dai valori in comune. Assolutamente no. L’interesse elettorale come trait d’union. Una tendenza all’ammucchiata sempre esistita e sempre confermata a ogni appuntamento alle urne. Basti pensare alle ultime Politiche, con i dem in coalizione con i compagni di Sinistra Italiana (contrari all’invio di armi all’Ucraina e protagonisti di un’opposizione pervicace al governo Draghi). Ancor meno legami con i Verdi, se non la venerazione nei confronti di un certo Soumahoro.

Il Manifesto dei valori al centro del dibattito di oggi mira, sulla carta, a un campo riformista, europeista, in grado di coniugare la storica cultura cattolico-democratica con quella della sinistra socialista e comunista. Ambizioni poco rispettate, visto che nel corso degli ultimi anni il Pd si è contraddistinto per la vocazione al potere, per l’ossessione del governo, e per un certo astio verso la cultura riformista del vecchio Psi. Inoltre non si può non sottolineare che dalla sua nascita il Partito Democratico non ha mai vinto un’elezione. Al massimo ha pareggiato. Eppure, tra una manovra di palazzo e l’altra, è quasi sempre riuscito a occupare Palazzo Chigi e dintorni.

La difesa dei lavoratori era la stella polare della sinistra, sempre al fianco della classe operaia. Con il passare degli anni, però, il Pd è diventato il "partito delle Ztl", pronto a strizzare l’occhio alla classe borghese agiata che vive nel centro delle città. La conquista dei diritti sociali è stata oscuratia da quella per i cosiddetti diritti civili: basti pensare alla disperata lotta per il ddl Zan, un provvedimento contro la libertà di pensiero trasformato in strumento per racimolare voti dal mondo arcobaleno. E che dire dell’ossimoro fondativo dem, identità e pluralismo, che rispecchia le correnti dei costituenti: dagli ex diessini agli ex Margherita, passando per laici e clericali, fino ai già citati ex popolari.

Altra contraddizione evidente, la voglia di mettere al centro le donne: risultato, il ruolo simbolico di capogruppo in una cerchia dominata dal maschio leader di turno.

Come se non bastasse, il primo premier donna della storia italiana è della tanto vituperata e osteggiata destra: Giorgia Meloni. Che boccone amaro da buttare giù.

L’ennesima possibile scissione certifica il fallimento di un progetto politico incoerente, fondato sull’accozzaglia come "spirito guida".

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