
I buoni libri non sono sempre necessariamente quelli che ci appagano di più, quelli che magari ci offrono le risposte migliori ai nostri dubbi. Libri buoni sono anche quelli che questi dubbi li sollevano, che ci costringono a quel lavorio mentale che permette a ciascuno di noi di fare qualche passo in più in una conoscenza che ci sia davvero propria. È questo il caso del volume di Vito Varricchio, Il socialismo di Luciano Pellicani (pagine 196), edito meritoriamente dai tipi Rubbettino, con la prefazione di Gaetano Pecora. Un testo che non solo introduce al pensiero politico di un protagonista della vita culturale italiana del secondo Novecento. Ma che propone al lettore un momento di riflessione e approfondimento su alcuni dei problemi chiave della politica.
Si prenda, ad esempio la questione della rivoluzione e del suo rapporto con il messianesimo politico; si pensi al rapporto tra socialismo (o meglio i socialismi) e l'economia di mercato; si consideri ancora il logoro, eppure sempre rinnovato, miraggio dell'autogestione e i suoi legami con la statizzazione.
Ecco: nello sfogliare le pagine di Varricchio, e il (particolarmente significativo) carteggio inedito tra Pellicani e Bobbio in appendice, si ha davvero l'impressione di aver squadernato un sunto del dibattito etico-politico del secolo scorso e contemporaneo. Con tutti i suoi pregi, ma anche con le sue strutturali mancanze, come la tendenza a non costruire i concetti, le parole della politica, a partire dai fatti, ma procedendo all'inverso.
Una base di riflessione, cui si aggiunge almeno per chi ha a cuore il valore della libertà la capacità di suscitare una profonda ammirazione per ciò che Pellicani rappresentò in una sinistra violentemente attaccata, anche in Italia, alle illusioni e agli odi di matrice marxista-leninista. Il coraggio di un intellettuale e di un docente, capace di opporsi ai legami perfino familiari oltre che alla pressante e radicale macchina della massificazione rossa di quegli anni, in nome della forza della ragione e del vaglio individuale di ogni convinzione data. «Il tema che negli anni Sessanta scrive Varricchio attraversava da parte a parte la fitta corrispondenza tra Luciano e la madre Camilla , una coraggiosa militante comunista rimasta tale nonostante gli avvenimenti del 1956, era la rivoluzione bolscevica.
In una lettera inedita, che qui pubblichiamo per la prima volta, un poco più che ventenne Pellicani esprimeva un giudizio che si urtava fortemente con quello, protestatario e antisistema, che agitava la sua generazione.
«Lenin e quelli che lo hanno seguito hanno sbagliato strada». E, pur consapevole di mettere in scompiglio le convinzioni politiche della madre, egli confermava i risultati della sua indagine I bolscevichi martellava Luciano «hanno fatto ripiombare l'umanità nel medioevo» Una capacità di analisi che Pellicani andò affinando nel tempo e che cercò di trasmettere ai suoi allievi. E che se gli valse il merito del giusto andare controcorrente gli fece, però, anche pagare il prezzo che sempre paga chi alla libertà resta fedele: la solitudine.
Glielo aveva profetizzato la stessa madre: «Tu rimarrai solo!». E il vaticinio si concretizzò puntualmente.
Sta di fatto che quella solitudine non immiserì, e non
immiserisce, ma anzi esalta il calore di quell'ideale di libertà cui Pellicani cercò di tenersi saldo, e che arriva a noi, anche grazie alle pagine di Varricchio, come una eredità da conservare e una responsabilità da trasmettere.