La storia economica tra Italia e Germania è fatta di amnesie reciproche, di sconfitte e di mille compromessi.
È il 1992. La lira è oggetto di un'aggressione speculativa. La Banca d'Italia (Ciampi governatore), pur di difendere un cambio della lira con il marco irrealistico, brucia 63mila miliardi di riserve. Confida che la Germania rispetterà il patto di Basilea-Nyborg. Prevede che quando una valuta dello Sme è sotto attacco, le altre banche centrali del Sistema la sostengano. Invece, a Ciampino arrivano con un aereo privato emissari della Bundesbank (tra cui Hans Tiettmeyer, il presidente) e comunicano che la Buba non rispetterà il Patto. Punto e basta.
Siamo alla notte del 23 novembre 2003. L'Italia è presidente di turno dell'Unione. La Francia e la Germania rischiano le sanzioni per deficit eccessivo, proposto dalla Commissione Ue presieduta da Romano Prodi. Giulio Tremonti presiede un Ecofin drammatico. Berlusconi lo chiama da Roma: «Ho parlato con Chirac. Ho parlato con Schroeder». La procedura della Commissione dev'essere congelata. Alla fine, la Presidenza si astiene dalla quarta ed ultima votazione notturna. E blocca la procedura d'infrazione per Parigi e Berlino. Episodio che Matteo Renzi ricorda in continuazione alla Merkel, ben sapendo di non farla felice.
Nonostante il comportamento italiano, la Germania boccia (già dal 2003) gli euro-bond. Sono uno dei temi della Presidenza di 11 anni fa. Berlino è contraria all'operazione di emissioni di titoli pubblici europei. Il tema è un fiume carsico, tant'è che li sta rilanciando anche Graziano Delrio: l'Italia li propone da 11 anni e da 11 anni la Germania dice di no. La vera vittoria italiana matura alla fine del 2004 ed arriva nel 2005. Contro il parere di tutti, viene proposta la riforma del Patto di stabilità. Alla fine, dopo negoziati assai poco diplomatici, l'accordo passa. Merito anche di uno stratagemma.
Jean-Claude Juncker era ed è un politico molto esperto. Ama allungare le riunioni fino a notte fonda, così da stancare gli interlocutori. All'epoca guidava l'Ecofin e finiva gli incontri verso le 2 di notte. Per farsi trovare fresca all'appuntamento, la delegazione italiana staccava i telefoni fino alle 18: le riunioni iniziavano alle 19. Andava a riposare. Ed anche grazie a questo accorgimento la riforma del Patto venne approvata con il principio di fondo chiesto dall'Italia (e valido tutt'oggi). Cioè, se la congiuntura peggiora i Paesi possono allentare il rigore; se migliora, devono rafforzare gli interventi per avvicinarsi al pareggio di bilancio. È con questa riforma che viene introdotto un nuovo calcolo del deficit: quello strutturale, che tiene appunto in considerazione l'andamento economico nel calcolo del deficit. Quello a cui ha fatto esplicito riferimento Barroso ieri a Villa Madama. Un indicatore dalla forte interpretazione politica, legata alle riforme strutturali avviate.
I rigoristi tedeschi provarono ad inserire nell'elaborazione del deficit strutturale anche i costi dell'Unificazione. Costi che l'Europa aveva già pagato con un cambio 1-1 del marco della Germania Ovest con quello della Germania Est. Per quanto potrà sembrare paradossale, al vertice di Cannes del 2011 l'Italia vinse la partita contro la Germania (e la Francia): proprio i Paesi che aveva salvato 8 anni prima. La vinse perché si rifiutò di accettare il prestito del Fondo monetario che Merkel e Sarkozy volevano che l'Italia chiedesse. Casualmente alla guida dell'Fmi c'era (e c'è) Christine Lagarde che, prima di volare a Washington, era stata ministro del governo Sarkozy.
Il resto della storia è fatta di pareggi e compromessi.
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