Quando in politica una parola diventa di moda, per anni viene ripetuta da tutti fino alla nausea. La più abusata è di sicuro «fascista» che resiste nel lessico corrente, con valenza d'insulto a portata di ogni lingua, da oltre mezzo secolo. Talvolta dà l'impressione di essere sul punto di tramontare, in realtà dorme un po' e a un tratto si risveglia e torna a passare di bocca in bocca. Ma bisogna riconoscere che il vocabolo è logoro, non suggestiona più come un tempo.
Anche «qualunquista» ha avuto un momento (abbastanza lungo) di gloria. Oggi è decisamente in disarmo e ha ceduto spazio a «populista» (termine salito alla ribalta per bollare Silvio Berlusconi), col quale ormai, entrato di prepotenza nell'idioma quotidiano, sogliono farsi i gargarismi i partecipanti a qualsivoglia talk show televisivo. Populista di qua, populista di là; pare che almeno la metà degli italiani abbia sposato il populismo senza sapere che cosa sia: un movimento nato in Russia e fratello gemello del collettivismo, parente stretto del comunismo.
Ma non importa: le parole, a forza di essere pronunciate a sproposito, si opacizzano e perdono il loro significato originario. Negli ultimi giorni la massa ha recuperato un altro vocabolo nei solai del linguaggio: «sessista». Ne faremo presto indigestione. In una settimana si è infilato in qualsiasi notiziario scritto o parlato e temo che non ce ne libereremo in fretta. La principale sponsor di questo aggettivo (e sostantivo) è la presidente della Camera, Laura Boldrini, arciconvinta, e non è la sola, che le offese lanciate dagli uomini alle donne siano tutte di carattere sessista. Non c'è dubbio, è così. E lo abbiamo verificato anche in occasione delle recenti polemiche (e risse) parlamentari provocate dai grillini, le cui intemperanze verbali hanno colpito la medesima signora Boldrini.
Va aggiunto che le battaglie a suon di parolacce nelle severe aule istituzionali non sono una novità né una specialità italiana, ma questo è un altro discorso. Piuttosto conviene soffermarsi sul genere degli improperi. Mi risulta che anche la maggioranza delle contumelie dirette ai maschi abbia dei richiami sessisti esattamente come quelle rivolte alle donne.
È sempre stato così. Purtroppo allo scopo di sostenere la mia tesi sull'assoluta democraticità degli oltraggi sono costretto a fare degli esempi. Il lettore mi scuserà. L'espressione più in voga è «testa di cazzo», segue «faccia di culo», al terzo posto collocherei «rotto in culo» a pari merito con «figlio di puttana» che sfregia due persone contemporaneamente: la mamma e l'erede. Non ho mai sentito nessuno gridare ad altri: «Testa di ginocchio» o «faccia di polso». A un giovanotto non molto brillante dedichiamo volentieri questo «complimento»: «Coglione». O «cazzone». Difficilmente una ragazza sciocca e non avvenente sarà liquidata così: «Brutta ovaia». Dal che si evince che le peggiori invettive sessiste sono al maschile: «testa di cazzo» è un classico, «testa di figa» sarebbe un inedito.
I «protagonisti» di ogni villania - che la vittima sia maschio o femmina, è lo stesso - sono comunque cazzo, culo e affini, parti del corpo umano non estranee alla sfera sessuale. Quindi non ha alcun senso sostenere che il vilipendio di una dottoressa sia sessista, mentre quello di un geometra non lo sia.
È l'oltraggio da escludere nei rapporti interpersonali, non il sessismo che lo accompagna sempre per antica abitudine maturata nel popolo (volgare per definizione) e poi estesa ai ceti più alti. Attenzione, però: fare la guerra agli screanzati comporta la certezza di soccombere. Debellare i cafoni? Progetto troppo ambizioso, come abbattere il debito pubblico.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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