Populismo rosso e "rivolta sociale": così Landini mette a rischio il Paese

Il leader della Cgil soffia sulle braci dello scontro, mentre le periferie in rivolta e gli antagonisti vedono già lo Stato come un nemico

Populismo rosso e "rivolta sociale": così Landini mette a rischio il Paese
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Giocare col fuoco può essere pericoloso. Molto pericoloso. Soprattutto quando l'attività in questione consiste nel procurare sempre nuovo ossigeno alle fiamme. Eppure Maurizio Landini non sembra curarsi del rischio. Dopo aver invocato la "rivolta sociale" nel Paese, il leader della Cgil è tornato ad alzare i toni durante l'odierno sciopero generale contro il governo. "Noi vogliamo rivoltare come un guanto questo Paese e per farlo c'è bisogno della partecipazione di tutte le persone", ha affermato, evocando scenari da sommossa. Con quelle parole, l'ex metalmeccanico ha così soffiato ancora una volta sulle braci ardenti dello scontro, tradendo peraltro la sua missione: quella fare da intermediario tra i lavoratori iscritti al suo sindacato e le istituzioni.

Al contrario, Landini è salito sulle barricate con un atteggiamento da capopopolo, senza considerare il potenziale esplosivo delle sue ultime intemerate. Il segretario generale della Cgil ha infatti alzato l'asticella delle tensioni verbali in un momento in cui le cronache raccontano di vari episodi di violenza. Sono recenti gli scontri nel quartiere Corvetto di Milano, rivelatosi un emblema della falsa integrazione che si tramuta in proteste e ostilità contro il potere costituito. Nelle nuove banlieue italiane, dove lo Stato è percepito come un estraneo o peggio come un nemico, in molti vorrebbero mettere all'angolo le istituzioni. In alcuni casi, qualuno è già passato ai fatti: proprio oggi a Torino si è consumato l'ennesimo scontro tra antagonisti e forze dell'ordine. A provocare i disordini sono stati i soliti "bravi ragazzi" dell'ultra-sinistra studentesca, ormai avvezza alle violenze di piazza.

Finora, a propagare l'intolleranza sono stati alcuni gruppi di esagitati, molto chiassosi benché minoritari. Ma, proprio per questo, le recenti parole pronunciate da Maurizio Landini destano preoccupazione. Il rischio è infatti che le affermazioni sulla "rivolta sociale" dell'autorevole sindacalista vengano interpretate da qualcuno in maniera radicale. Alla lettera. E che spingano anche i più moderati a lasciarsi irretire dalle sirene del populismo più barricadero, mentre la crescita del Paese richiede compattezza, pragmatismo e zero ideologie. Per scongiurare questo pericolo, ci saremmo aspettati che il leader della Cgil smorzasse i toni o si esprimesse con maggiore avvedutezza, pur conservando il suo legittimo diritto al dissenso. E invece non è stato così. "È chiaro che siamo di fronte al tentativo serio di una svolta autoritaria che mette in discussione la libertà di esistere e la libertà delle persone", ha affermato l'ex metalmeccanico durante lo sciopero di oggi. Ancora una volta, parole forti. Incendiarie.

Peraltro, fino a

prova contraria Landini non è il capo di un partito politico e dunque i suoi appelli alla rivolta non sono in teoria destinati a incanalarsi verso un eventuale passaggio elettorale. A cosa punta il leader del sindacato rosso?

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