RomaAlzare un polverone per accaparrarsi una delle poltrone più ambite dalla nomenklatura. È quanto sta accadendo in questi giorni dopo le dimissioni di Antonio Mastrapasqua dalla guida dell'Inps. Spunta, come al solito, una rosa di nomi, la politica fa confusione e i più scaltri sperano di andare a dama.
Ad esempio, autorevoli quotidiani (tra i quali Repubblica) hanno rilanciato il nome del ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, tralasciando il fatto che la legge sulle incompatibilità «congeli» gli ex ministri dall'assumere cariche in società statali per 12 mesi dalla cessazione del proprio incarico. Certo, nel caso di un commissariamento dell'ente la norma non avrebbe valore. Altre fonti, invece, hanno proposto il nome del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. È vero, il sindacato ha un potere di «veto» molto forte in ambito previdenziale. Una prerogativa che si esplica nella massiccia partecipazione di rappresentanti dei lavoratori nel Civ dell'Inps, il comitato di indirizzo e di vigilanza. Ma lo stesso Bonanni ha più volte smentito la circostanza, anche perché non è sua intenzione venire in futuro tacciato di un potenziale conflitto di interessi. Proprio lui che, ultimamente, ai politici non ne perdona una.
Dalla rosa dei papabili si sono tirati fuori a vario titolo gli ultimi tre ex ministri del Lavoro. Lo ha fatto il presidente dei senatori del Nuovo centrodestra, Maurizio Sacconi, e lo ha fatto anche Elsa Fornero, tornata alla sua cattedra universitaria torinese dopo l'avventura con Mario Monti. «Sono felice di quello che sto facendo», ha dichiarato ieri. Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, invece non ha rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale. Ma le sue posizioni conservatrici in materia di mercato del lavoro lo rendono poco «spendibile» per il nuovo Pd targato Renzi. Si è defilato anche il direttore generale dell'Inps, Mauro Nori.
Il segretario e sindaco di Firenze non è un appassionato di spoil system, ma è alla guida di una «macchina da guerra» che quando si tratta di poltrone non guarda in faccia nessuno. Ecco perché alla fine il nome che resta sempre più in auge è quello di Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro con Dini e Prodi, riformista, ispiratore del Jobs Act, moderato quanto basta per entrare in Renzology. Treu attualmente è consigliere del Cnel e di Intesa Sanpaolo formazione nonché presidente della Fondazione Adecco per le pari opportunità. Il fronte di coloro che apprezzerebbero un «esterno» caldeggia invece l'ad di Poste, Massimo Sarmi.
L'ente che si occupa dei trattamenti pensionistici non è l'unico pensiero della politica. Ieri in commissione Lavoro è stato espresso parere contrario al pdl di Fratelli d'Italia sul taglio alle «pensioni d'oro».
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