Prosciolto per il caso Mills Berlusconi - pm: 25 a zero

Fallisce l’ennesimo assalto delle toghe. Tanti tentativi, mai una condanna. Il Cav soddisfatto: "Mezza giustizia è fatta". Ma ora chi paga per questo accanimento?

Prosciolto per il caso Mills Berlusconi - pm: 25 a zero

Tutto previsto. Tutto ridicolo. Dopo 2.600 e passa udienze non sono ancora riusciti a condannare Silvio Berlusconi. Se lui non è un santo, e a questo punto neppu­re beato ( con le rotture che gli hanno inflitto), i ma­gistrati non sono dei fenomeni, altrimenti almeno una condannina, magari fasulla, sarebbero stati ca­paci di ammollargliela. Zero. Nemmeno una con­travvenzione nonostante 25 processi.

Il caso Mills più che un caso era un casino. Secon­do l’accusa, il Cavaliere avrebbe pagato (corrotto) l’avvocato inglese affinché raccontasse balle. Pec­cato non esista lo straccetto di una prova. Se io do del denaro a te, qualche traccia di movimentazio­ne su conti correnti dovrebbe rimanere, o no? Cer­to che dovrebbe rimanere, invece non è rimasta. E allora? Ciccia.

Questo, all’osso, sul piano giudiziario. Nono­stante ciò, la giustizia ha fatto i salti mortali per di­mostrare che l’ex premier è un fior di farabutto. Ma ha fallito. Sennonché le toghe (in buona fede? For­se sì, forse no, chi lo può dire?) hanno insistito, con tigna degna di miglior causa, per dimostrare di aver ragione. E sono andate avanti anni e anni, ca­valcando ogni argomento, compresi i più strava­ganti, al fine di giungere a un verdetto di colpevolez­za dell’imputato (eccellente o eccedente?).

D’altronde un bocconcino come Berlusconi fa gola a chiunque, figuriamoci alla casta giudiziaria, non insensibile al bagliore dei riflettori. Ma c’è un ma. Sbattere in galera un povero cristo qualunque è facile: non dà molta soddisfazione, però si può fa­re agevolmente. Sbattere in galera un grande im­prenditore, per di più presidente del Consiglio per lustri e lustri, non è, invece, un gioco da prendere sottogamba. Bisogna avere in mano qualcosa di so­lido, molto solido, non bastano le congetture. Per di più debolucce. Occorre prudenza.

Gli uomini e le donne dei tribunali non sono ca­porali, tengono alla carriera. Che fare per non rovi­narla? Evitare azzardi. Se condanni il Cavaliere in primo grado e, in secondo o in terzo, poi te lo assolvono (o prosciolgono per prescrizione), non è bel­lo. Non depone a tuo favore. Meglio procedere coi piedi di piombo. Attenzione. Se ieri il tribunale avesse detto: a casa per non aver commesso il fatto o roba simile, l’obiezione del pueblo sarebbe stata disarmante. Questa: scusate toghe, avete messo in piedi un cancan del genere per concludere che era tutta una barzelletta, siete matti? Quindi, è vera la storia del­l’accanimento giudiziario? Date ad­dosso a Silvio per sputtanarlo, squalifi­carlo politicamente e, alla fine, ammet­tete che si è trattato di un equivoco. Non regge.

La categoria dei giudici non poteva e non può esporsi a critiche tanto pesan­ti. Le conveniva trovare una strada di­versa. Quale? La prescrizione. Che ac­contenta tutti e tutti (in apparenza) scontenta, perché si presta a qualsiasi interpretazione: non è una condanna né un’assoluzione.Non fa danni e con­sente varie letture. La giustizia salva la faccia e il Cavaliere salva ben altro, il Pdl resta compatto attorno al suo lea­der e continua, come convenuto, ad ap­poggiare il governo alle prese con rifor­me che richiedono tempo e coesione della maggioranza.

E il Quirinale? Supponiamo abbia ti­rato un sospiro di sollievo. Non era il momento di turbare il lavoro di Mario Monti,il quale-piaccia o no-è conside­rato indispensabile per tentare di por­re l’Italia al riparo dal rischio di dera­gliare in senso greco.

Indubbiamente, questa vicenda è stata destabilizzante, ha complicato la gestione del Paese, ha gettato om­bre sia su Berlusconi sia sull’operato della Procura di Milano. L’epilogo è una sorta di compromesso e sappia­mo che, lungi dal troncare le polemi­che, le alimenterà.

Gli antiberlusco­niani seguiteranno a dire che il Cava­liere non è innocente e i berlusconia­ni seguiteranno a dire che non è colpe­vole.

La guerra prosegue. Ma la voglia di combattere va scemando. La gente si è accorta che il prezzo delle ostilità è a proprio carico, e reclama la pace o, almeno, un armistizio. Sarebbe ora di darglielo.

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