Ci è arrivato persino Travaglio in uno dei suoi articoli prolissi, per i quali non gli basta più la prima pagina. Delle due l'una: se Berlusconi è colpevole di concussione, lo è anche la Cancellieri; se la Cancellieri è innocente, lo è anche Berlusconi. Con la non marginale differenza che Ruby, «raccomandata» come Giulia Maria Ligresti, non era in carcere per un reato grave. Travaglio insiste nell'escludere che i magistrati chiamati dalla Cancellieri siano intervenuti ma, nei fatti la richiesta degli avvocati, inizialmente respinta, viene accolta solo «dopo» la segnalazione del ministro (che ne dà conto, via sms intercettato, ad Antonino Ligresti) reinterpretando la stessa perizia del medico che «prima» non era stata ritenuta sufficiente. Per Travaglio (e per Caselli) i magistrati hanno agito «autonomamente», ma è impossibile che, pur mostrando di non essere stati influenzati o aver agito per la «sollecitazione» del ministro, non siano stati informati del suo desiderio e delle sue preoccupazioni. E infatti il ministro pone proprio queste «preoccupazioni» a fondamento del suo intervento.
Le posizioni di partenza, come esponenti del governo, di Berlusconi e della Cancellieri, sono identiche. E identiche le loro pressioni ai sottoposti pur senza pretese e con argomenti persuasivi. Ma c'è una differenza sostanziale. Ruby era una poveraccia, una sottoproletaria extracomunitaria, abbandonata a se stessa, senza genitori illustri, senza avvocati zelanti, trattenuta in Questura, ma non in stato di arresto per ordine di un magistrato. Una ragazza sola, con un amico potente, e non indagata. Berlusconi ha avuto 7 anni di condanna per averle risparmiato 4 ore di sosta notturna in Questura! Nient'altro. Nessun abuso o richiesta che non potesse essere accolta, legittimamente, da funzionari di Polizia. I magistrati di Milano, «fuorilegge», hanno chiamato concussione una raccomandazione, sostanzialmente paterna (di «Papi» si tratta). E concusso un poliziotto zelante, lusingato e in soggezione più o meno come Piergiorgio Odifreddi al telefono con il finto Bergoglio. Un'azione giudiziaria spropositata, insensata, strumentale e di natura politica.
Oggi Caselli chiama intervento umanitario una dimostrazione di amicizia (fondata anche su interessi economici) da parte di un ministro (della Giustizia) con una famiglia di potenti. E un altro giornalista, sempre sensibile al buono e al giusto, Massimo Gramellini, su la Stampa, non sfugge al confronto con la telefonata di Berlusconi, ma aggiunge maliziosamente: «Un ministro non può avere amici, soprattutto certi amici» (con cui non è marginale che abbia lavorato, molto locupletato, il figlio) «perché la sua amicizia, ovviamente legittima, con una delle famiglie più chiacchierate d'Italia, contraddice la narrazione della «persona semplice e di buon senso che ama circondarsi di persone semplici e di buon senso, mica di squali e squalette della finanza».
Perfetto, peccato che il gentile, educato e per bene Gramellini, chiami sgarbatamente «squaletta» una ragazza, una figlia, fragile e malata come hanno riconosciuto i magistrati, e forse vittima di una storia più grande di lei.press@vittoriosgarbi.it
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