"Quanto affetto per i Savoia. Vorrei narrare la storia d’Italia"

Emanuele Filiberto di Savoia, nipote dell’ultimo re: "Ne ho parlato anche a Valditara. Sono a disposizione per far scoprire le nostre radici"

"Quanto affetto per i Savoia. Vorrei narrare la storia d’Italia"

C’è un filo antico che lega la mia famiglia a casa Savoia. Mio nonno Giovanni Mosca fu infatti l’unico giornalista ricevuto per un lunghissimo colloquio da re Umberto II a Cascais, in Portogallo, dove si trovava in esilio: da quell’incontro nacque un libricino, Il re in un angolo , editato da Rizzoli. Era il 1950: oggi, 75 anni dopo, mi trovo a intervistare Emanuele Filiberto, nipote di quell’ultimo re, e iniziamo proprio da suo nonno. Perché domani, nella residenza un tempo sabauda di Racconigi, è in programma una giornata dedicata all’approfondimento della figura del «re di maggio ».

«Quel bellissimo libro è in realtà una lunga intervista, che cito nel discorso che tengo al convegno di Racconigi », dice Emanuele Filiberto, «un appuntamento per parlare del periodo dal ’43 al ’46, anni importanti, quando Umberto II era ancora principe di Piemonte e il re era suo padre, Vittorio Emanuele III. Umberto diventò allora luogotenente generale del Regno: l’Italia era in guerra, arrivavano gli alleati e lui ebbe un ruolo determinante, politico. Partecipò anche alla battaglia di Monte Lungo, vicino a Caserta, contro i tedeschi, con il raggruppamento motorizzato del Regio Esercito e tutti gli dicevano che era matto, troppo pericoloso. Finì che gli americani volevano dargli la Silver Star, la più alta onorificenza militare, ma lui rifiutò perché aveva solo fatto il suo dovere».

«Umberto II era così, un uomo molto dignitoso, che per tutta la vita ha sempre messo un po’ da parte se stesso per il suo Paese e il suo popolo. Anche dopo il referendum fra monarchia e repubblica del ’46, quando decise di lasciare l’Italia senza opporsi, perché non voleva che si spargesse sangue nel suo nome. Partì e non potè mai più tornare. Mio nonno è una figura non abbastanza conosciuta, poco ricordata, per questo partecipo con piacere al convegno».

Al territorio italiano va la beneficenza che lei gestisce con gli Ordini dinastici di casa Savoia, che si distinguono per opere a fin di bene.

«Sinceramente sono orgoglioso di questo impegno solidale verso chi è meno fortunato. È stato mio padre Vittorio Emanuele, scomparso l’anno scorso, a dare nuovo impulso agli Ordini: oggi sono presenti in ogni regione o provincia d’Italia e anche in 17 Paesi esteri. Do soltanto una cifra: negli anni del Gran Magistero di mio padre, gli Ordini hanno dato in beneficenza oltre 45 milioni di euro. So bene che alcune charity dinner americane raccolgono la stessa cifra in una sera, ma io amo dire che noi facciamo beneficenza a chilometro zero, voglio che ogni mia delegazione rimetta i soldi nel suo territorio e che le donazioni siano controllate. Aiutiamo anche piccole associazioni, per le quali magari 2mila euro fanno la differenza ».

Quest’estate ha visitato diverse regioni per partecipare a tali iniziative solidali.

«Ho girato cinque regioni in sei giorni, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Emilia. Ma ho giocato in casa! Mi trovavo in Umbria, nel mio piccolo podere dove facciamo l’olio, e ne ho approfittato. Amo stare in mezzo alle persone, conoscerle. Per tornare al sondaggio sulla popolarità dei reali di casa Savoia realizzato dal professor Renato Mannheimer, di cui Il Giornale ha anticipato i risultati, incontrando la gente mi rendo conto dell’affetto che hanno per me e per la mia famiglia ed è emozionante, è un affetto che voglio restituire ».

È un sondaggio a tratti sorprendente. Come commenta, ad esempio, che il 92% degli intervistati sappia bene chi è lei, e solo il 76% conosca invece Vittorio Emanuele II, che proclamò il Regno d’Italia?

«La non conoscenza di certi temi o personaggi storici è incredibile, un vero peccato. Ne ho parlato anche con il ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara, quando l’ho incontrato al funerale di Papa Francesco: mi ha espresso la sua preoccupazione per la scarsa preparazione degli studenti su questi argomenti. La storia d’Italia sono le nostre radici, costituisce la nostra identità, è triste scoprire che i giovani se ne allontanano sempre più. Come discendente del re che ha unificato l’Italia, come pronipote di Vittorio Emanuele III, una figura anche controversa, amata o no, e come nipote dell’ultimo re io sono a disposizione per raccontare la storia d’Italia, di cui la mia famiglia è stata protagonista».

Savoia è anche il nome della squadra di calcio che ha acquistato in Campania: ora è in serie D, ma lei ha promesso un futuro brillante.

«Assolutamente, puntiamo ad andare avanti. Ho comprato il Savoia calcio 1908 di Torre Annunziata perché mi faceva tristezza vedere una squadra con quel nome andare in fallimento. C’erano state anche infiltrazioni camorristiche: così mi sono inventato lo slogan “Diamo un calcio alla camorra” e abbiamo iniziato una nuova avventura. La Campania, regione meravigliosa, è però anche difficile per molti giovani: con la mia squadra vorrei togliergli dalla strada. Venite con noi, imparate uno sport di gruppo, divertente. Abbiamo una bella Academy di ragazzi, sono più di 270, ci occupiamo di loro e ci fa molto piacere».

È vero che la sua famiglia ha sempre tifato Napoli?

«Mio padre tifava Napoli, e anche mio nonno Umberto era appassionato di calcio. In quanto re, non poteva dichiarare apertamente la sua fede calcistica, ma io so che tifava un po’ Napoli e un po’ Toro. Se dividiamo in due l’Italia, da Roma in giù era tifoso del Napoli e da Roma in su del Toro. Sa che anni fa, quando rischiava la serie B, ci interessammo con Ferlaino per comprare proprio il Napoli? Poi non se ne fece nulla. De Laurentiis è un presidente molto capace, con il Napoli è stato abilissimo e ha dimostrato che con il bel calcio si possono fare bei soldi. Io però, a parte il mio Savoia, tifo Juve perché è la prima squadra italiana che ho potuto incontrare in Svizzera, quando ero in esilio. Il calcio non si vedeva tutto in Tv come oggi e la Juve venne a giocare contro il Servette, la squadra di Ginevra. Ho conosciuto i giocatori allo stadio, ricordo Michel Platini, Paolo Rossi… C’è anche un legame importante tra casa Savoia e la famiglia Agnelli: mio nonno era il padrino di Umberto Agnelli e la Juve giocò con il lutto al braccio quando nonno morì, nell’83. Soprattutto, però, tifo Juve per il mio amico Lapo, per forza».

Sempre quest’estate, ha inaugurato l’ultimo ristorante della sua catena, Prince of Venice, a Montecarlo, alla presenza del principe Alberto di Monaco. Il business della ristorazione funziona?

«Molto bene, fortunatamente. A Montecarlo abbiamo aperto un posticino piccolo, ma carino. Ormai siamo presenti negli Stati Uniti e in Arabia Saudita, a Gedda e a Riyad. Gli chef dei miei ristoranti riescono a coniugare la sapienza e la cultura gastronomica italiane con certi prodotti locali. La mia idea originaria era quella di portare in America il meglio dell’Italia, senza dimenticare che anche in America ci sono ottimi prodotti. Facciamo pasta fresca, con una quindicina di sughi diversi, arancini: una ristorazione rapida ma di qualità».

Le sue due figlie sono ormai maggiorenni: sono interessate agli impegni pubblici come rappresentanti di casa Savoia?

«Vittoria ha 21 anni, Luisa 19, sono giovani ed è giusto che si occupino di studiare e anche di lavorare per guadagnare. Sono due ragazze complementari, amo l’idea che un giorno prenderanno entrambe il mio posto e saranno meglio di me. Ma assolutamente non le forzo a fare nulla. Stanno a Parigi: la piccola studia Giurisprudenza, mentre la maggiore ha una società con la quale cura le esposizioni di giovani artisti.

Poi ha preso da sua madre (l’attrice Clotilde Courau, ndr ) e a New York ha seguito la scuola di recitazione Lee Strasberg, che ha dato i suoi frutti: in questo momento sta girando come protagonista una serie per Amazon Prime ».

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