RomaQuasi un avviso di sfratto, quello di Matteo Renzi al premier Enrico Letta: «È stato Letta a parlare di un governo di 18 mesi. Ne mancano otto. Poi, se vogliamo cambiare schema siamo disposti a parlarne». Se ne parlerà alla direzione del Pd del 20 febbraio, tra due settimane. Nel frattempo nella direzione di ieri al Nazareno ha allontanato ulteriormente i due separati in casa, mettendo anche allo scoperto i mal di pancia di un partito che ribolle. Sentite ad esempio i due freschi dimissionati. Stefano Fassina («chi?») invoca il voto: «Se non si trova un'intesa assumiamoci la responsabilità di dire che non ci sono le condizioni per un governo efficace, non facciamoci logorare tutti e scegliamo la strada elettorale». Gianni Cuperlo si chiede: «Reggiamo così? Secondo voi regge così il Paese? O c'è una vera ripartenza del governo, ma Letta lo vuole fare questo sforzo, è in grado di farlo? Oppure si discuta, si scelga le alternativa».
Il duello è all'ultimo sangue, il pareggio non è previsto. Ad accendere la miccia è Renzi, che aprendo la direzione mette il presidente del consiglio con le spalle al muro: «Se Letta ritiene che ci siano delle modifiche da porre, affronti il problema nelle sedi istituzionali e giochiamo a carte scoperte». E se Letta si sente poco apprezzato il problema è suo: «Il giudizio sul governo, sulla composizione del governo, sui ministri, spetta al presidente del consiglio dei ministri». E comunque «se ci sono stati problemi» per il governo «non li ha mai posti il Pd, che non ha mai fatto mancare il suo appoggio in nessun passaggio rilevante». Qualche ora dopo, alla chiusura della direzione, un altro paio di stoccate al capo dell'esecutivo: «C'è un eccesso di Dc in questa assemblea». Ma soprattutto: «La discussione sul governo deve vedere la chiarezza innanzitutto del governo».
E Letta? Altro stile. Diciamo felpato. Parla brevemente dal palco del Nazareno e fa sempre un po' il calimero-pulcino-nero. «Per il governo galleggiare non è possibile, altrimenti problemi non si risolvono», butta là. E poi fa una chiamata di correità a Renzi e non solo: «Sulle riforme serve gioco di squadra». Letta è in fibrillazione: «Il passaggio dei prossimi giorni sarà decisivo. Quello che succederà alla Camera la prossima settimana determinerà la condizione per fare bene le cose. In questo senso il mio impegno c'è tutto. L'occasione che abbiamo in questo 2014 è irripetibile e la cogliamo se il nostro partito diventa protagonista della storia di questo Paese».
Niente rispetto al fuoco di Renzi. Già in mattinata il trionfatore delle primarie aveva smosso le acque presentando il suo progetto per il futuro Senato light: un organo di 150 persone non pagate, dai poteri decisamente attenuati, composto da «108 sindaci di comuni capoluogo, 21 presidenti di Regione e 21 esponenti della società civile». Poi, al Nazareno, ne ha per tutti. Critica chi sostiene che l'Italicum favorisca Berlusconi («se davvero fosse così vorrebbe dire che il Pd ha un problema, perché non riesce a vincere contro un'alleanza che è la stessa del 1994. Le elezioni si vincono se si prendono i voti, non se si cambia sistema elettorale») e chi considera un autogol aver coinvolto Fi nelle riforme («abbiamo sempre detto che le regole si scrivono insieme»), se la prende con i grillini, che definisce «prigionieri politici incastrati nel blog del comico genovese».
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