«Un capolavoro, così siamo riusciti a dare l'idea che il Pd è contro il Mattarellum», commenta Matteo Orfini. «Con questo eccesso di drammatizzazione, il Pd ha fatto passare il messaggio che non solo difende il Porcellum, ma che si fa anche dettare la linea da Brunetta», osserva il prodiano Sandro Gozi. Che aggiunge: «Tutta questa preoccupazione del governo per una semplice mozione parlamentare è un segnale di debolezza del partito delle larghe intese».
È bastata la mozione Giachetti (respinta a sera dall'aula di Montecitorio, ma con 138 voti a favore, in gran parte dei grillini), che dice di impegnarsi a non tornare al voto con il Porcellum, eventualmente riesumando - nel caso si votasse prima che il processo delle riforme sia compiuto - il sistema di voto precedente, il Mattarellum, a mandare in tilt il Pd, a mettere in fibrillazione il governo, a spaccare il gruppo in una movimentata assemblea. Nella quale il capogruppo Speranza ha fatto votare uno ad uno i deputati chiedendo di respingere la pericolosa mozione pro-Mattarellum. Trentaquattro i voti a sostegno di Giachetti (renziani), cinque gli astenuti, tutti gli altri schierati con il governo. «Se non la ritiri, il governo darà parere contrario in aula», avverte il ministro per i rapporti con il Parlamento Franceschini, rivolto al promotore. Il quale però non demorde: «Anche volendo, non potrei ritirarla - spiega Giachetti - perché la mozione ha avuto cento firme di vari gruppi, è trasversale, non di mia proprietà e non può essere condizionata dal voto di un gruppo. Ovviamente il Pd ha tutto il diritto di decidere come votare e io non posso fare altro che prenderne atto». Il premier Letta, in aula, si schiera contro la mozione: «Non è questo il momento di entrare nel merito: di legge elettorale si parlerà dentro il processo riformatore, mettere il carro davanti ai buoi vuol dire farlo deragliare», dice. Ossia mettere in crisi il governo. E infatti è questa la lettura che danno gli anti-renziani del Pd, anche se in realtà la solitaria battaglia anti-Porcellum di Giachetti va avanti dalla scorsa legislatura, e il sindaco di Firenze ha deciso di dare un appoggio alla mozione solo un paio di giorni fa. Mentre dal fronte filo-governo il refrain è un altro: «È un agguato di Renzi contro il governo Letta. Siamo tornati ai tempi di D'Alema contro Veltroni», accusa Piero Martino, braccio destro di Dario Franceschini. E guarda caso proprio Massimo D'Alema, fuori dal Palazzo, fa sentire la propria voce, e - senza citarlo - dà ragione alla battaglia di Giachetti: «La vera salvaguardia - dice il leader Pd intervistato a SkyTg24 - è il ritorno alla legge maggioritaria fondata sui collegi che funzionava. Se invece ci limitiamo a passare dal Porcellum al proporzionale, a una legge di liste bloccate con il proporzionale puro, rischiamo di favorire uno sgretolamento del sistema politico». È la preoccupazione di molti: che dietro il tentativo di «larghe intese» sulle riforme si nasconda un patto tra Letta e il Pdl per un ritorno al proporzionale che, come spiegava ieri Arturo Parisi, «dovrebbe consentire la nascita di un partitone centrista, e la perpetuazione del governissimo».
Nonostante l'assiduo lavoro di sminamento e i tentativi di appeasement interno prodigati dai ministri Pd e dall'asse Letta-Franceschini-Epifani-Bersani, le divisioni e i malesseri interni al partito sono venuti allo scoperto anche stavolta.
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