Revocato il 41 bis al boss di Capaci Antonio Troia: "Proroga mal motivata"

La decisione è del tribunale di sorveglianza di Roma. Il boss è stato condannato con sentenza definitiva all'ergastolo per la strage di Capaci

Revocato il 41 bis al boss di Capaci Antonio Troia: "Proroga mal motivata"

Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha revocato il carcere duro al boss Antonio Troia. Nel 2006 il 41 bis era stato confermato dalla Corte di Cassazione che aveva respinto il ricorso presentato dai legali del detenuto. Per i supremi giudici, Troia "è stato protagonista di vicende giudiziarie di estrema gravità" e non ha manifestato alcun "comportamento sintomatico di ravvedimento e di rescissione del vincolo con l'organizzazione di appartenenza". Per queste ragione, la Cassazione aveva dichiarato il ricorso "inammissibile".

Il boss, di 77 anni, deve scontare cinque ergastoli per omicidio. Secondo gli inquirenti, avrebbe partecipato alla preparazione della strage di Capaci nella quale furono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Secondo l'accusa, Troia avrebbe partecipato alla fase organizzativa ed esecutiva della strage, comservando l'esplosivo usato nell'attentato del 23 maggio 1992 e ospitando il commando mafioso.

Dall’esame del carteggio sulla base del quale è stato predisposto il decreto ministeriale di rinnovo del 41 bis per Troia, secondo i giudici romani "non emerge alcun inidizio di attuale sussistenza dell’interesse dell’organizzazione a intessere indebiti collegamenti" con il boss detenuto.

I magistrati del Tribunale di Sorveglianza di Roma scrivono ancora che tutti gli atti del procedimento "si limitano a ripercorrere le vicende giudiziarie del condannato (ancorate a reati commessi fino al 1992) e a segnalare diverse operazioni di polizia che riguardano esponenti della famiglia mafiosa di Capaci che non risultano collegati a Troia". Nella sostanza, sarebbe "privo di adeguata motivazione" il provvedimento di proroga del 41 bis al capomafia di Capaci Antonino Troia.

"La perdurante operatività della famiglia mafiosa (altro requisito a cui la legge subordina la proroga del 41 bis n.d.r.) non risulta invece comprovata. Nessuna delle vicende riportate nel decreto ministeriale appare riconducibile alla famiglia di Capaci e ancor meno alla persona di Troia. E non emerge alcun indizio di attuale sussistenza dell’interesse dell’organizzazione mafiosa a intessere indebiti collegamenti con Troia", scrivono i giudici che bacchettano la superficialità della motivazione posta alla base del 41 bis aggiungendo che "nel corso degli ultimi 19 anni non è mai emerso alcun elemento, giudiziario e non, che possa dirsi sintomatico di perdurante esercizio o riconoscimento del ruolo di vertice di Troia".

"Se è vero che il decorso del tempo non può da solo costituire elemento decisivo di valutazione, è altrettanto illegittimo fondare il giudizio richiesto dall’art.

41 bis esclusivamente sul ruolo esercitato 20 anni fa da persona che oggi, settantenne e malata, e sottoposta da 19 anni a rigorosissimo ed afflittivo regime penitenziario non ha più avuto relazione diretta o indiretta con un’organizzazione che, pur nell’ambito di Cosa nostra, non è noto sei sia localmente attiva e, soprattutto, in qualsiasi modo ancora legata a interessi legati a Troia", conclude il Tribunale.

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