Se io fossi un giornalista straniero (ma che dico: perfino italiano) mi soffermerei su questa storia degli sms di Dario Franceschini e delle reazioni che ne sono seguite. La storia è nota: il ministro per i Rapporti col Parlamento ha inviato dal suo cellulare privato un messaggio privato a una decina di amici privati romani per chieder loro di votare per la sua compagna Michela Di Biase, candidata al Consiglio comunale capitolino. Il messaggio è stato però inoltrato da qualche amico traditore al sito grillino, dove Franceschini è stato linciato con parole dementi e rozze dai moderni sanculotti che non si sa in base a quale imbecille principio pseudo etico lo hanno accusato di aver «raccomandato» la donna che ama e con cui ha cominciato da poco una nuova vita. Fin qui la cronaca dei fatti. Una posizione cretina, ma diffusa.
Poi le reazioni. L'occasione l'ha sfruttata Daniela Santanchè schierandosi pubblicamente con Franceschini con una dichiarazione in cui dice che il ministro è stato «additato alla pubblica gogna per avere fatto ciò che qualsiasi uomo che ama veramente dovrebbe fare nei confronti della sua donna». Il linciaggio grillino viene definito «da voltastomaco» e poi la Santanchè cala la carta vincente: quella dell'amore che riguarda tutti, di destra o di sinistra senza trascurare il centro, dicendo: «Mi sarei stupita da donna se il mio compagno si fosse comportato diversamente da Franceschini. Mi congratulo con lui e gli auguro di non cambiare mai».
Il fatto inatteso è che la dichiarazione a favore di Franceschini è stata immediatamente ripresa dalle edizioni online sia di Repubblica sia del Corriere e da altri giornali non di destra, che si sono trovati in un certo senso scavalcati e spiazzati. Daniela Santanchè come politico non è sempre considerata simpatica e anzi - per usare una parola banalizzata dalla moda - si può dire che sia piuttosto «divisiva», nel senso che sta sulle scatole a un sacco di gente anche se Michele Santoro l'ha elevata al rango di anti-Travaglio nell'ultima puntata di Servizio Pubblico. La notizia ha insomma preso un po' tutti di contropiede sul fronte giornalistico, ma non si tratta soltanto di giornalismo.
Ciò che questo episodio dimostra, a nostro parere, è il cambiamento di clima che si sta producendo: una specie di global warming nei rapporti umani che si ripercuote sulla politica. Ciò che Daniela Santanchè ha colto e trasmesso, è la possibilità di usare il tema dell'amore come tessuto cicatrizzante contro la pratica degli strappi brutali e delle ferite personali. Che cosa c'è di più comprensibile, lodevole e piacevole che un gesto di solidarietà di un uomo che cerca di dare una mano alla propria donna, e viceversa?
E se ci si mette dalla parte della centralità della vita amorosa, si scopre che proprio di lì si può partire per scardinare la pratica del linciaggio. Il linciaggio è ormai diventato un sistema di comunicazione a media intensità: proprio Franceschini ne ebbe una brutta esperienza quando si trovò assediato dai sostenitori di Grillo mentre era in un ristorante. Ma la pratica della denigrazione, dello scherno, della distruzione dell'immagine dell'avversario (una pratica felicemente inaugurata da Goebbels nella Germania nazista, subito copiata ed esaltata in Unione Sovietica e di lì resa pratica comune nei processi politici) indica oggi non soltanto una inclinazione mentalmente violenta, ma illumina una parte politica di quella sezione della sinistra che punta al logoramento dei rapporti fra i partiti della coalizione e dunque del governo Letta per renderlo debole e liquidabile con una spallata finale.
Ciò ha un fondamento logico: l'area del mal di pancia interno al Pd, quella degli occupy Pd, dei vendoliani e della frangia grillina che rappresenta i centri sociali, punta all'acutizzazione del dissenso per disfare l'alleanza di governo. Quell'area viene nutrita da chi come Zanda e Finocchiaro scommette su misure improponibili come la non votabilità dei 5 Stelle e l'ineleggibilità di Berlusconi. Ma c'è poi un'altra area nel Pd che invece punta sulla normalizzazione dei rapporti politici e umani fra destra e sinistra, sia perché il governo ne guadagna in salute, sia perché è un buon servizio pubblico con cui disintossicare la vita politica quotidiana dagli spurghi dell'odio e dei rancidi rancori.
L'aggressione online nei confronti di Dario Franceschini per aver osato suggerire a dieci amici «votate per la mia compagna» non è soltanto un episodio sgradevole ma un gesto politico che punta al sacrificio umano, all'uccisione della personalità, quella che gli inglesi chiamano charachter assassination, per mantenere sotto pressione una linea politica. È a questo punto che la dichiarazione della Santanchè arriva sparigliando perché dice siamo proprio noi di destra a prendere pubblicamente le parti di Franceschini sul terreno dell'amore di coppia e dei profondi affetti che, avendo un valore universale, permettono di lanciare un collegamento trasversale. Siamo sicuri che mai e poi mai Dario Franceschini avrebbe potuto pensare a tali sviluppi quando inviò i famosi sms, ma la casualità della politica è anche la sua parte migliore.
Dunque oggi sappiamo perché Silvio Berlusconi è stato condannato in appello alla galera e all'interdizione dai pubblici uffici nel processo per i diritti cinematografici. È tutto scritto nelle motivazioni, depositate ieri, della sentenza. I giudici ammettono che all'epoca dei fatti l'imputato non ricopriva alcun incarico in Mediaset in quanto già presidente del Consiglio, ma sostengono che è ovvio che lui continuasse a comandare in azienda, della quale frequentava abitualmente i vertici. Già apprendiamo una prima notizia, cioè che per la magistratura frequentare l'amico di sempre Fedele Confalonieri e il figlio Pier Silvio costituisce di per sé un grave indizio di colpevolezza. Ma la follia va oltre, ed è sintetizzata nella parola «ovvio», usata per coprire la mancanza di prove. Quindi da oggi il nostro codice penale si arricchisce di un nuovo reato, quello dell'ovvietà, cioè trasformare un teorema in verità senza bisogno di pezze d'appoggio. Non fare il furbo, è ovvio che tu sia colpevole. Perché? Perché lo dico io, ovvio.
Se potesse leggere simili motivazioni, il giudice Falcone, ne sono certo, si rivolterebbe nella tomba nonostante il suo volto campeggi nel poster appeso all'ingresso del Palazzo di giustizia di Milano. Ed è ovvio perché. Il suo maniacale rigore investigativo lo induceva a evitare di portare a processo anche il più noto, e ovvio, dei mafiosi senza avere in mano prove schiaccianti. Al punto da non utilizzare a lungo, contro il parere dei suoi colleghi, le clamorose confessioni fiume di Buscetta (primo grande padrino pentito di mafia) perché il disgraziato aveva raccontato di aver frequentato la casa di un politico mafioso collocando nel salone un camino del quale nella realtà non c'era traccia. Se mente su un camino, ragionò Falcone, Buscetta potrebbe mentire su tutto. E non si fidò fino a quando scoprì che il camino esisteva davvero, era stato solo coperto nel corso di una ristrutturazione.
Questo è un magistrato onesto e leale anche nei confronti dei cattivi a cui dava la caccia. Non arrestava neppure il peggiore dei criminali su teoremi, supposizioni o voci, ma solo su fatti precisi e circostanziati. Ovviamente, l'hanno ucciso. Per favore, ridateci un Falcone, cacciatore di camini e verità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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