Si sono presi un posto nel loggione, come chi compiaciuto vede in diretta lo spettacolo grottesco del divorzio rumoroso dei vicini di casa. Non ce la fanno a nascondere la soddisfazione e il sarcasmo. È il Pd che per una volta assiste all'implosione narcisistica dell'altra sinistra, quella riformista e moderata, quella che ha lasciato la Ditta per cercare una nuova avventura, che doveva essere più sana e intelligente. Alla fine, invece, i capricci caratteriali sono stati più forti delle ragioni politiche. La psiche irrazionale ha vinto sulla razionalità. È così che arrivano le battute da parte di chi, i due, li conosce bene. «Diciamo che stavolta ci siamo noi con i pop corn». È la stilettata di un parlamentare dem di lungo corso. Enrico Letta mette un «mi piace» al tweet di Emma Bonino: «Dovrei dire che sono sorpresa? Proprio no. Lui è fatto così». Lui, chiaramente, è Carlo Calenda, l'uomo che prima delle elezioni ha firmato, con +Europa, l'accordo con il Pd. Prima sicuro, poi incerto, così attento ai sondaggi da rompere il patto e lasciare al proprio destino il partito allora di Letta e gli amici radicali. Il gusto adesso è sottolineare il «sono ridicoli». Ma sarcasmo a parte, il naufragio del Terzo Polo porta i dem a due considerazioni. La prima è che «fuori dal Pd non ci sono approdi. Con buona pace di Marcucci», si fa notare. Il riferimento è l'intervista di un paio di giorni fa all'ex-capogruppo al Senato che, lamentando una deriva a sinistra della segreteria Schlein, osservava: «Se fosse confermata un liberal democratico non può che guardare altrove. E non vedo alternative rispetto al Terzo Polo». E oggi Marcucci è tornato sul tema ribadendo, al di là dell'esito sconfortante dei rapporti tra Iv e Azione, in «Italia di un'area liberale e riformista continua ad esserci un gran bisogno». La seconda, e qui entrano in campo i riformisti dem, è che la rottura tra Calenda e Renzi imporrebbe, a maggior ragione, un Pd plurale. L'idea è che se un po' di «pellegrini» tornano a casa si può mitigare la vocazione movimentista di Elena Ethel Schlein. Il guaio è che Calenda e Renzi non sanno stare insieme, ma neppure possono separarsi in modo netto. Il gruppo parlamentare deve restare unito. Non c'è il partito unico, insomma, ma resta la rappresentanza in Parlamento.
È in fondo anche una questione di soldi. Il divorzio dal punto di vista finanziario non conviene a nessuno. Bisogna andare avanti così, almeno alla Camera e al Senato, come una coppia che non si riconosce, ma non sa dove andare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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