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Lo scandalo è il cinismo del PD

Il Pd è lo spettacolo di un partito scarnificato che da mesi sa dire una sola frase ripetuta senza sosta: fascisti

Lo scandalo è il cinismo del PD

No, non sarà Alfredo Cospito il segretario di stagione del Pd. Neppure come simbolo, come maschera, come «macchietta», come suggestione repressa di un partito in cerca perenne d'identità e che a una manciata di giorni dalle elezioni regionali s'inventa un certificato di esistenza in vita. È la miseria di questa storia. La sorte di un uomo che non mangia da più di 100 giorni è solo la scusa per riaccendere la guerra civile di parole. Tutto il resto è fuffa. Bolle di sapone. Il Pd non ha un'anima. Non è preoccupato per la salute di Cospito. Non conosce le sue idee. Non si interroga sulle rivendicazioni dell'anarchia incendiaria. Non gli interessa la riforma del 41 bis. Non vuole una riforma della giustizia. Il Pd non è niente. Non è reale. È solo rappresentazione. È lo spettacolo di un partito scarnificato che da mesi sa dire una sola frase ripetuta senza sosta: fascisti, fascisti, fascisti, gridato ogni quarto d'ora, qualsiasi cosa accada, sempre e comunque, così ossessivi da risultare surreali. In questo gracchiare vanno alla continua ricerca di un volto, di una sindrome, che li possa politicamente resuscitare: una sardina, un bracciante, una ragazza con gli occhi di gatto, uno straccio di Guevara, una controfigura di Bobby Sand. Cospito lo hanno incrociato per caso, quasi per sbaglio e subito sono andati in pellegrinaggio, come faccendieri del teatro di Mangiafuoco. Non sapevano nulla di lui e neppure gli interessava più di tanto. Non lo hanno cercato per pietas, ma per invitarlo sul palcoscenico. Cospito, nel bene o nel male, è un cinquantacinquenne che ha consumato la sua vita in carcere per la sua idea di anarchia. Non è un avatar. Non è un vestito da indossare. Non sta al gioco della commedia dell'arte. «Mi batto per abolire il carcere duro, non per uscirne io». Allora rivolge due parole al suo avvocato. Per favore smettiamola con questa pagliacciata e metti fine alla processione dei politici con la faccia della solidarietà sofferente. È il paradosso della pena. Cospito non può incontrare nessuno ma è costretto a sorbirsi il salotto di chi non ha voglia di vedere. Non hanno nulla da dirsi. Anzi. C'è un sapore da presa per i fondelli. Cospito non pensa che la differenza la fa chi siede su una poltrona. Non crede ai buoni e ai cattivi. Non crede nella democrazia. La sua bandiera non è neppure rossa. Non si fida della rivoluzione, tanto a potere si sostituisce potere. Non si riconosce in Bakunin e piuttosto prova simpatia per Stirner. L'anarchia non è solo una posizione politica, ma epistemologica. Chissà se Debora Serracchiani ha mai letto Contro il metodo di Paul K. Feyerabend? Non si può ridurre tutta questa storia, profonda e drammatica, alla richiesta senza condizioni di resa e dimissioni per Donzelli e Delmastro. L'effetto è ridicolo. È farsa, avanspettacolo, miseria della politica. È il «caso Cospito». Ci sta che lui, il diretto interessato, che sta in carcere per le sue azioni, per i reati che ha commesso per un ideale politico, per una scelta da terrorista, possa tirarsi fuori da questo circo. «La sinistra sta strumentalizzando la mia protesta, trasformandola in una macchietta».

È tutto quello che Alfredo Cospito non ha mai voluto essere: una macchietta.

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