Ma un presidente della Repubblica può legare il suo mandato alla sopravvivenza di un governo, quello di Enrico Letta, o di una maggioranza, quella delle larghe intese? Il peccato originale della seconda volta di Giorgio Napolitano è tutto in quel ventilare, quel far intendere in via subliminale, quell'annuire indiretto, che la fine di questo governo e di questa maggioranza si sarebbe portata dietro anche la fine della sua permanenza al Quirinale. Uno strappo quasi definitivo. Il passaggio, surrettizio, da una Repubblica parlamentare a una Repubblica semipresidenziale. In questo modo il capo dello Stato da garante dell'intero Parlamento ne è diventato solo di una parte e, soprattutto, è diventato il vero capo del governo. Ora che il quadro politico delle larghe intese è venuto meno, infatti, anche Napolitano rischia di pagare dazio. È fatale. E lui si arrabatta come può per salvare il salvabile. Per tenere in vita un'esperienza di governo che ha divorziato con la maggioranza del Paese, che ha fallito su tutto: non ha rilanciato l'economia; le riforme costituzionali sono ferme al capolinea; l'impegno alla pacificazione è rimasto lettera morta. Anzi, un colpo di Stato ha cacciato dal Parlamento l'unico leader politico che vi era rimasto, cioè Berlusconi (Renzi e Grillo non vi sono mai entrati). La verità è che il Quirinale è diventato una torre d'avorio, dove non si recepiscono più i fremiti della società. È sordo.
La consulta ha abrogato il Porcellum, delegittimando in un colpo solo il Parlamento, e dietro a esso il governo, il capo dello Stato e se stessa, cioè tutti gli organismi istituzionali che traggono la loro legittimazione dalle Camere e lui va avanti come se niente fosse: secondo Napolitano l'attuale Parlamento invece di approvare una nuova legge elettorale e andare subito al voto, può occuparsi anche delle riforme e rilanciare l'economia. E da chi sarebbe legittimato? Ovviamente da lui: un capo dello Stato che, nella sua pervicacia, si è incoronato re. Ma in fondo la metamorfosi di cui parliamo è avvenuta da tempo: se per nessuno, neppure per il capo del governo, vale il legittimo impedimento, al nuovo sovrano, invece, basta far sapere che non ha nulla da dire sulla trattativa Stato-mafia per evitare una deposizione davanti al Tribunale di Palermo. O, ancora, mentre sono pubblicabili le intercettazioni di qualsiasi cittadino italiano - sia premier, capitano d'industria, generale dei carabinieri poco importa -, lui, il sovrano, scomodando la solita Consulta come sempre pronta all'uopo, ha preteso che le registrazioni delle telefonate tra lui e Mancino fossero bruciate. Naturalmente il capo dello Stato lo ha fatto appellandosi a quella Costituzione che secondo Grillo e i suoi seguaci ha violato.
Per cui se il comico che si è fatto politico chiederà l'impeachment del sovrano, c'è da valutare attentamente le motivazioni. E se sarà convincente - come io credo - sarò pronto a dire sì: meglio questa vecchia Repubblica mezza ammaccata, che una strana monarchia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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