Enrico Letta dice cose sagge e subito scatta l'ironia con battute trite e ritrite: oddio, moriremo democristiani; oddio, siamo tornati alle prediche melense di Mariano Rumor. Ma se abbiamo rianimato la Dc dopo averla seppellita, forse un motivo c'è. La rimpiangevamo? Avevamo nostalgia dei suoi metodi dolci e rassicuranti da sacrestia? Può darsi. È un fatto che per uscire dall'impasse, scartato ogni altro piano, ci siamo rivolti a un giovane - ma di antico stampo - democratico cristiano e in lui abbiamo riposto fiducia, ascoltando con piacere il suo tono pacato e convincente. Ci illudiamo che abbia detto la verità e che il suo programma ben congegnato trovi riscontro nella realtà, venga cioè realizzato almeno al 50 per cento: sarebbe già molto, abituati come siamo alle patacche.
Non importa se Letta fino a un paio di settimane fa dichiarava ogni due minuti che un'alleanza Pdl-Pd fosse inimmaginabile. Ha cambiato idea lui o gliel'ha fatta cambiare Giorgio Napolitano? Non lo sapremo mai né vogliamo saperlo. Sta di fatto che egli ora parla come se fosse l'inventore dell'acqua calda: questo governo - dice - non aveva e non ha alternative se non il ritorno alle urne, l'equivalente del suicidio. Ha ragione. Noi nel nostro piccolo questo concetto, di cui il presidente del Consiglio si è appropriato, lo andavamo ripetendo dal 25 febbraio: o una coalizione fra i due partiti (...)
(...) avversari (Pdl-Pd) o buio pesto.
Letta si è reso conto di ciò e in pochi giorni ha varato un esecutivo in grado di durare, almeno sulla carta. Poi vedremo. Se tutto andrà bene, sarà perché la buona volontà nella maggioranza avrà scongiurato la riaccensione delle solite polemiche che hanno caratterizzato gli ultimi vent'anni, avvelenando il clima politico nazionale.
I primi segnali lanciati da Letta sono incoraggianti. Dimostrano senso di responsabilità e consapevolezza dei problemi. Specialmente quelli creati dall'Europa con le sue regole ferree e illogiche, tendenti a soffocare l'economia continentale, in generale, e, in particolare, la nostra, oberata da un debito pubblico mostruoso. Il neopremier ne ha accennato esplicitamente: bisogna rinegoziare i protocolli e rivedere i parametri relativi al rapporto fra Pil e spesa. Se egli riuscirà nell'intento di allentare i lacci e i lacciuoli imposti dalla Ue, la speranza di superare la crisi non sarà vana. Altrimenti il Paese rimarrà al palo, condannato alla recessione continua e all'immiserimento. Il successo del governo dipende dall'autonomia d'iniziativa che l'Italia sarà capace di ottenere dai burocrati comunitari.
Letta poi ha toccato il punto dolente che mai nessuno aveva osato sfiorare: la moneta unica. Era ora. Finalmente l'euro non è più un tabù e se ne può discutere senza suscitare l'impressione di offendere il sentimento europeista. Già. Saremmo europeisti se l'Europa ci fosse davvero. Invece non c'è. È una finzione, una scatola vuota di contenuti politici e culturali e piena di divieti e leggi assurde. E saremmo lieti di avere l'euro se fosse l'espressione di popoli uniti anziché di finanzieri e banchieri inclini alla speculazione.
Anche qui è necessario un intervento chiarificatore: se Letta si rivelerà all'altezza di una simile delicata impresa, il nostro futuro sarà meno nebuloso. Il Paese, in due parole, per risorgere deve rimuovere le cause che l'hanno ammazzato.
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