Cronache

Se lei davvero ti ama deve chiamarti cucciolotto o patatino

Una ricerca dell'Università di Boston dimostra come senza l'uso di nomignoli il rapporto va in crisi

Se lei davvero ti ama deve chiamarti cucciolotto o patatino

Per piacere, si pregano i signori lettori di questo articolo, di non inviare messaggini del tipo: «Ma chi se ne frega...», «Che sciocchezze...», «Ma non avevate qualcosa di più serio da scrivere?».
Da parte nostra mettiamo le mani avanti e scarichiamo subito la colpa sulla professoressa Jean Berko Gleason. Anzi, su quel tesoruccio della professoressa Gleason, la quale manda a dire a tutti gli orsacchiotti dei suoi studenti che, se vogliono continuare ad essere felici con il proprio partner, dovranno - necessariamente - chiamarlo pulcino, patatina, cucciolotto o - in alternativa, amorino, leprotto, pucci pucci, bibo; valide anche le opzioni: gioia, miao, fuffi, ciupa ciupa.
Tutto ciò per dire che i vezzeggiativi e i nomignoli sono - sarebbero - alla base della vera intesa di coppia. La signora Jean Berko Gleason, professoressa emerita di psicologia dell'Università di Boston, è giunta a questa fondamentale - ma opinabilissima - conclusione dopo anni e anni di serissimi studi. Tanto che ora la sua ricerca verrà pubblicata su «autorevolissime» riviste di settore, compreso il San Valentino Times, quotidiano di riferimento di tutti gli innamorati americani. Insomma, quella che a qualcuno può sembrare una sdolcinatezza insulsa e inutile ha - avrebbe - in realtà un suo perché e un suo valore bel preciso.

Secondo l'équipe «scientifica» della prof Gleason, infatti, «l'uso di questi nomignoli ricorda il linguaggio con cui i genitori, le mamme in particolare, si rivolgono ai bambini piccoli; nell'ambito della coppia, il ricorso a questi appellativi affettuosi e bambineschi è un preciso segno dell'amore e dell'impatto emozionale che si nutre nei confronti della persona amata».
Alla pur esimia ricercatrice statunitense vorremmo però, umilmente, eccepire che esistono uomini (e noi tra questi) che, sentendosi chiamare patatino o pisellone (sempre meglio di pisellino), potrebbero perfino rivalutare il concetto di femminicidio. Mentre rifiutiamo a prescindere l'ipotesi che degli uomini possano chiamare la fidanzata - o peggio, moglie - cica cica o kiss kiss.
Macché, la prof Gleason difende la sua tesi a colpi di birignao: «Utilizziamo questo linguaggio perché, come nel caso dei bambini, amiamo la persona verso la quale indirizziamo il messaggio. Nel cosiddetto amore erotico, ovvero nel sentimento che in età adulta proviamo nei confronti del nostro partner, le basi emozionali sono le stesse che legano i genitori ai loro bambini. Questo modo di parlare, in pratica è frutto dei nostri ricordi infantili del modo amorevole in cui ci parlavano papà e mamma, e ha una sua valenza importante anche in età adulta perché comunica intimità e affetto».

La prego, prof Gleason, ci dica che sta scherzando, che non sta parlando sul serio.
«No cari, sono serissima - replica la ricercatrice bostoniana -. Tutto questo è frutto della chimica dell'amore, in particolare della dopamina, il neurotrasmettitore responsabile della particolare sensazione di benessere che proviamo quando siamo innamorati e sappiamo che il nostro partner ci corrisponde. Questa sostanza si attiva anche nei bambini piccoli in presenza delle coccole di mamma e papà, una situazione in cui il bimbo sperimenta la dolcezza di sentirsi sicuro e amato.

Il fatto dunque di rivolgersi al compagno con appellativi in apparenza sciocchi ha le sue radici in questo meccanismo biochimico ed è il sicuro segnale di una buona intesa affettiva di coppia».
Capito, cicci?

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