Se l'ossessione di star bene ci fa «scoppiare» di salute

Se l'ossessione di star bene ci fa «scoppiare» di salute

È un'ossessione interessante, questo volersi controllare tutto minuto per minuto: pressione, battito cardiaco, cicli del sonno, ora perfino i nei, basta scaricarsi l'apposita app. Anche io appena esco a camminare attacco il Pedometro, per sapere quanti passi ho percorso, quante calorie brucio, e la mia velocità media, che oggi è stata di 5,6 km all'ora. Così so di quanto ho ridotto la mia massa grassa, ma devo inserire il valore delle calorie nell'app in cui inserisco i cibi che mangio, per sapere di quanto sono dimagrito.
Ho persino smesso di fumare con l'app «Last Sigarette», non da tanto, esattamente da 1 giorno, dodici ore e 27 minuti. Tuttavia il monossido di carbonio nel sangue è già sceso del 100%, la nicotina è ancora al 30%, le sigarette non fumate 30,3489, e ho ridotto la mia possibilità di avere un infarto rispetto a ieri dello 0,9889 %, e di un tumore causato dal fumo dello 0,9997 %, mi sento già meglio.
È solo una moda? No, è qualcosa di più profondo. Anzitutto, dopo secoli di dualismo cartesiano, ci rendiamo conto di essere dei corpi, nei quali perfino la nostra identità è un prodotto del cervello, altrimenti l'anima vincerebbe sull'Alzheimer. Cogito ergo sum, ma tutto il resto, dietro quel «cogito», sono milioni di processi automatizzati, miliardi di neuroni, sinapsi, neurotrasmettitori, che lavorano a nostra insaputa. A nostra insaputa? Già, che angoscia.
In generale è una fortuna: se avessimo coscienza di quanti algoritmi avvengono nei circuiti neurali per ogni nostro movimento o respiro non riusciremmo neppure a toccarci la punta del naso. Ci sentiamo al vertice dell'albero evolutivo perché abbiamo evoluto la coscienza, ma non il sonar dei pipistrelli, né la capacità di orientamento di api, formiche o uccelli. Una nocciolaia del Nordamerica riesce a ritrovare 12000 nascondigli, noi neppure gli occhiali in casa. Però, a differenza di altri animali, viviamo in simbiosi con tecnologie che ci permettono di controllare quasi tutto. Eppure ancora nel nostro corpo non esiste un menù «impostazioni», è angosciante.
Da una parte siamo nel futuro, dall'altra siamo ancora troppo poco nel futuro per sentirci in salvo. Siamo fortunati e sfigati al tempo stesso: ci troviamo solo a metà strada tra l'uomo e la macchina, e ci attacchiamo a quello che passa il convento dell'App Store. Un giorno, quando gli umani avranno tutte le funzioni di controllo incorporate, inclusa l'autodiagnosi e l'autoriparazione cellulare, si riderà di noi.
In fondo la nostra intima speranza è diventare dei robot, o almeno degli androidi. Non come i replicanti di Blade Runner, per carità, quella è solo fantascienza.

Il monologo «time to die» di Rutger Hauer per me vale quanto l'«essere o non essere» di Amleto, e anche loro avevano solo paura della morte, ogni volta che lo vedo mi fa piangere. Ma non è questo il punto: un futuro in cui neppure un replicante ha un'app per sapere quanto gli resta da vivere non è credibile.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica