Se non compra gli F35 l'Italia finisce in serie C

C omprare, non comprare o rinviare ogni decisione: questo è il dilemma che il Palazzo si è trovato ad affrontare circa l'acquisto definitivo dei 90 aerei F35 (in origine, erano addirittura 131), decisa a suo tempo dal governo Prodi con il pieno (...)

(...) assenso del centrodestra e ora contestato come spesa inutile a fronte delle tante altre necessità. L'offensiva contro gli aerei, che dovrebbero formare il nerbo della nostra aviazione per i prossimi trent'anni, è partita dal M5S, da Sel e da una fetta minoritaria del Pd, ma ha finito con il contagiare altre forze e ha infine indotto il Pd stesso a presentare una mozione che rimette ogni decisione su ulteriori acquisizioni al Parlamento dopo una indagine conoscitiva delle commissioni competenti che durerà almeno sei mesi. Una mozione che, con un piccolo ritocco, è stata accettata anche dal Pdl, accolta dal governo e ha evitato così di aprire una ennesima crisi all'interno sia dell'esecutivo sia della maggioranza. In apparenza non compromette nulla, perché non pone l'obbiettivo di uscire dal programma, ma lascia comunque aperta la porta - ad acque più calme e dopo verifiche che presumibilmente saranno più politiche che tecniche - alla rottura di un altro impegno internazionale dell'Italia.
Di fronte a una opinione pubblica bombardata ogni giorno dalle cattive notizie sull'economia, è ovviamente popolare sostenere che i 12 miliardi previsti per l'acquisto degli F35 (sia pure spalmati su diversi anni) possono essere molto più utili per qualcuna delle tante cause sociali per cui mancano i soldi. In realtà, la mozione di M5S e Sel, «neutralizzata» da quella della maggioranza, è stata una classica manifestazione di demagogia in salsa pacifista, sia perché le ragioni che a suo tempo ci indussero a partecipare a questo progetto rimangono valide, sia perché tutti gli argomenti che gli anti F35 portano possono essere facilmente confutati.
Si dice, per esempio, che questi aerei sono in realtà pieni di difetti e che la loro adozione sarebbe perciò solo foriera di guai: può darsi, che, in questa fase, si siano manifestati difetti da correggere, ma è inverosimile che gli Stati Uniti e tutti gli altri Paesi associati al progetto si affidino a un aereo le cui prestazioni non rispondono alle attese.
Si dice che gli F35 sono un'arma essenzialmente offensiva, e che il loro acquisto è in contraddizione con la nostra Costituzione che ripudia la guerra. Ma è facile ribattere che le esigenze di un'aviazione moderna, in un mondo che prevede operazioni di tipo molto diverso da una guerra mondiale, richiedono proprio questo tipo di apparecchi.
Si dice che anche altri Paesi, tra cui Gran Bretagna, Olanda e Australia, hanno deciso di rinviare l'acquisto in attesa di tempi migliori. È vero: ma la ragione è che hanno meno urgenza di noi di rinnovare la propria flotta aerea, e comunque nessuno si è veramente tirato indietro.
Si dice, egualmente, che il fatto che la nostra industria sia stata scelta dalla Lockheed per produrre parti dell'aereo è irrilevante, perché i 2.000 posti di lavoro previsti allo stabilimento di Cameri non compensano l'investimento. Ci si dimentica che l'Italia è l'unico Paese d'Europa che partecipa attivamente al progetto e a beneficiare dei suoi progressi tecnologici: con buona pace dei pacifisti senza se e senza ma, l'industria bellica è ancora uno dei pilastri della nostra economia e che, se vogliamo continuare a vendere, dobbiamo restare partner affidabili.
Si dice, infine (anche da qualcuno nel governo) che i soldi stanziati per gli F35 sono più utili, in questo momento, per altri scopi. Chi sostiene questa tesi non tiene conto che l'Italia ha - ancora - un posizione di prestigio nel contesto internazionale, fa parte della Nato, si trova al centro di una delle aree più calde del globo e deve essere pronta per tutte le emergenze. «Con il prestigio internazionale non si mangia» sostiene qualcuno. Vero; ma senza, ci si riduce definitivamente a un Paese di serie C.

segue a pagina 6

di Livio Caputo

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