Caso Ilaria Salis, la sinistra confonde i diritti umani con la santificazione

Il rispetto dei diritti non significa difendere in toto l'imputata né tantomeno santificarla. E chiedere che questa risponda delle proprie azioni non è una bestemmia

Caso Ilaria Salis, la sinistra confonde i diritti umani con la santificazione
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Bene ha fatto il vicepremier Antonio Tajani a mettere in chiaro, sin da subito, che sulla dignità di Ilaria Salis, come su quella di ogni altra persona detenuta in Italia o all'estero, l'esecutivo non intende transigere in alcun modo e che da Budapest "esige il rispetto dei diritti e delle garanzie previste dalle norme europee". Allo stesso modo ha fatto bene il vicepremier Matteo Salvini ad annotare che, se la Salis fosse dichiarata colpevole dalla magistratura ungherese, sarebbe "incompatibile con l'insegnamento". Alla sinistra nostrana, che in queste ore sta imputando al governo Meloni inesistenti responsabilità delle brutali immagini arrivate dal tribunale, forse potrà anche sembrare strano ma chiedere il rispetto dei diritti umani non significa difendere in toto l'imputata né tantomeno santificarla. E chiedere che questa risponda delle proprie azioni non è una bestemmia.

Quando la polemica sulle foto della Salis, incatenata ai polsi e alle caviglie con un guinzaglio a trascinarla in Aula, è esplosa, l'indignazione è stata bipartisan. Eppure nemmeno in questo caso la sinistra ha saputo deporre le armi. Forse è stata proprio la pronta condanna del governo a spiazzare la galassia giallorossa che, probabilmente presa in contropiede, si è fiondata di montare la polemica accusando l'esecutivo di non aver fatto abbastanza o comunque di non averlo fatto abbastanza presto e rinfacciando alla Meloni la vicinanza al premier Viktor Orbán, manco la giustizia ungherese, che dovrebbe essere indipendente come tutte le altre, fosse alle dirette dipendenze del capo del governo.

Non gli è poi parso vero, a Elly Schlein e soci, che Salvini facesse notare che, al netto delle "immagini scioccanti", la presenza della 39enne lombarda "in occasione di manifestazioni violente, a Budapest come a Monza nel 2017 quando venne distrutto un gazebo della Lega", sia piuttosto "sorprendente" dato anche il suo lavoro di "insegnante elementare che gestisce il presente e il futuro di bambini sarebbero assolutamente gravi". E così, non appena il leader del Carroccio si è permesso di scrivere su X che non sarebbe felice se la Salis fosse la maestra di sua figlia, la segretaria piddì gli ha risposto che, a suo dire, nemmeno lui che è accusato di sequestro di persona può fare il ministro.

Basta questa schermaglia per toccare con mano il livore ideologico della sinistra.

Perché non si può parlare del passato della Salis e comunque difenderne i diritti? Perché non si può ricordare i suoi rapporti con la galassia antagonista, la militanza nel centro sociale monzese "Boccaccio" e i processi in cui è finita invischiata (e poi assolta), e comunque battersi perché abbia un trattamento e un processo equo? Forse perché a farlo è Salvini? Forse perché, a parti invertite, la sinistra non si sarebbe mai battuta per i diritti di un fascista alla sbarra in un tribunale straniero?

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