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La lezione dimenticata di Bettino Craxi sullo sciopero generale

Negli anni Ottanta il segretario del Psi definiva lo sciopero generale come un "vecchio strumento del rivoluzionarismo sindacale"

La lezione dimenticata di Bettino Craxi sullo sciopero generale
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Lo sciopero è un potentissimo strumento in mano ai lavoratori per chiedere maggiori tutele, per protestare contro la classe dirigente, alzando la voce per far arrivare le proprie rimostranze. È uno strumento costituzionalmente tutelato ma l'impressione generale è che da qualche tempo se ne faccia abuso e non per difendere i lavoratori ma come clava politica contro il governo Meloni. Nel 2025 ci sono stati in media circa 3.1 scioperi al giorno, solo nell'ultimo quadrimestre sono stati indetti 4 scioperi generali, uno al mese, tutti con vocazione politica.

Questo ritmo incalzante di mobilitazione non ha precedenti recenti e ha determinato un autunno e un inizio inverno paralizzati non tanto dalla protesta spontanea dei lavoratori, quanto da una strategia ben orchestrata. Dalla mobilitazione di settembre a quella recentissima del 12 dicembre, indetta dalla Cgil, che con Marizio Landini è diventata ancor di più costola della sinistra, e in particolare del Pd, le motivazioni sono sempre state meno incentrate su specifiche vertenze contrattuali e sempre più sbilanciate sulla critica a tutto campo del governo. "Lo sciopero generale è un vecchio strumento del rivoluzionarismo sindacale", diceva Bettino Craxi nei lontani anni Ottanta. "Io penso che si possa ricorrere allo sciopero generale politico solo per ragioni estreme, in casi estremi. È un mezzo estremo di lotta anche per considerazioni pratiche: quando si sciopera si distruggono salario e produzione. Lo sciopero non è gratuito, costa", aggiunse il segretario generale del Partito socialista italiano.

"Bisogna sempre considerare che se io faccio pagare un prezzo ai lavoratori, devo sapere di ottenere un risultato, o almeno di avere un’alta probabilità di ottenerlo. Se la probabilità è bassa, non gli faccio distruggere il salario", fu la sua conclusione. Un discorso di buon senso che sembra essersi perso nell'attivismo politico di recente slancio per la Cgil, appoggiata dalla galassia di movimenti parlamentari ed extraparlamentari della sinistra. Il principio che ha guidato i sindacati fino a pochi anni fa oggi non esiste più e lo sciopero generale si è trasformato in un mero strumento di ostruzionismo politico al servizio dei partiti.

Quando la protesta diventa routine, quando ogni mese viene proclamato uno "stop generale" con l'obiettivo dichiarato di indebolire l'esecutivo in carica, si verifica un doppio danno: da un lato, si penalizzano milioni di cittadini che vedono servizi essenziali come trasporti, scuola e sanità ostaggio di logiche sindacali.

Dall'altro, si svuota di significato l'arma stessa dello sciopero, trasformandola in un rito stanco e prevedibile del venerdì, che finisce per alienare le simpatie della pubblica opinione e per non produrre alcun effetto politico reale, se non quello di creare caos. E si penalizzano i lavoratori che, infatti, aderiscono sempre meno.

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