La spesa ora si fa al dispenser

La spesa ora si fa al dispenser

Mcché distributori automatici, adesso si chiamano corner market. Roba per chi vuole esagerare e non è certo affetto dalla sindrome di Camera Cafè. Quanta tristezza davanti al bicchierino di plastica di Luca e Paolo: impiegati sfigati, vestiti da sfigati; e che, ovviamente, bevono l’«espresso lungo» da sfigati. Di Luca e Paolo i nostri luoghi di lavoro sono zeppi. Tutti lì, davanti alla «macchinetta». A raccontarsi le proprie miserie umane e professionali. Sognando di digitare un numero che - invece della «bevanda al cioccolato, gusto forte» - distribuisca un decotto di felicità («gusto moderato», ci si accontenta...).
Ma una volta fuori dall’ufficio, questi enormi dispenser a moneta continuano a seguirci. Li trovi ovunque e, ogni anno che passa, l’evoluzione della specie lascia interdetti. Nelle città più grandi sono spuntati dei veri e propri «angoli automatizzati» che offrono 24 ore su 24 ogni ben di Dio: dal pane fresco, al latte di caldo, passando per l’acqua tiepida. E poi tramezzini farciti e panini imbottiti al cui confronto il Rustichella dell’autogrill sembra il risotto con foglia oro di Gualtiero Marchesi.
Comparso in Inghilterra alla fine dell’Ottocento, il primo proto-distributore automatico sbolognava una brodaglia destinata a operai col palato di cartone. Ma è nel secondo dopoguerra che le «macchinette» si elevano al rango nobile di status symbol, con tanto di scritta Hot Coffee. Farsi un cappuccino alla macchinetta diventa sintomo di emancipazione in una società «liquida», nel senso che da quel buco magico vengono fuori anche litri e litri di the al limone. Oggi viviamo in un’età ugualmente «liquida» (ma per altri motivi) e non c’è scuola, stazione, ospedale, ufficio che non meni vanto del suo dispenser (magari con prodotti bio, ogm e naturaly correct).
Un giro d’affari mica da ridere, con 2,5 milioni di macchinette presenti in Italia (una ogni 25 abitanti) e 6,5 miliardi di consumazioni all’anno. Ma non di solo cibo vive lo corner market addict: vale a dire la sempre più emergente tipologia antropologica che ai negozi preferisce i corner automatici. E qui - nei corner - che viene il bello. In questi speciali antri delle meraviglie (ottimi rifugi notturni per barboni) si trovano anche libri (la cultura non ha orari), mazzi di fiori (per incorreggibili romanticoni domenicali), cerotti (attenti alle forbici), tappi per le orecchie (e basta con questo casino!) e tante altre cose inutilmente utili (o utilmente inutili, fate voi). Nell’aeroporto di Orio al Serio c’è perfino un distributore di lingotti e monete d’oro: così, giusto per le spesucce di prima necessità.
Ma se volete veramente ridere, dovete piazzarvi davanti ai distributori automatici di «oggetti osé».
A Milano, in via Palmanova (di fronte alla Biblioteca comunale) ce n’è uno particolarmente ben fornito. Sul davanti ha una tendina oscurata che si solleva dopo aver inserito il documento di identità «attestante la vostra maggiore età». A quel punto sullo scaffale appare di tutto un po’: ampia gamma di vibratori, manette, frustini, creme «coadiuvanti», slip sexy e via stimolando.

E non pensiate che i frequentatori siano persone maleducate. Sentita l’altra notte: «Mi scusi signora, ma quel vibratore l’ho visto prima io...». «Ma prego, si figuri... io prendo quell’altro». A entrambe, buon divertimento.

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