STATI UNITI

Non due, bensì tre miliardi di dollari. Eccolo, nelle sue reali dimensioni (per ora), il buco creato nei conti di JpMorgan da operazioni un po’ troppo disinvolte sui derivati. Jamie Dimon, l’amministratore delegato della banca d’affari Usa rimasto ancora miracolosamente in sella, aveva già messo le mani avanti nei giorni scorsi ricordando che le perdite sarebbero state soggette a volatilità. Colpa anche di quelle fluttuazioni di mercato giornaliere che spesso fan la fortuna degli speculatori. La cifra divulgata subito dopo l’esplodere del caso è comunque già aumentata del 50%. Ma visto che JpMorgan ha puntato 350 miliardi su posizioni molto altalenanti come i derivati, le perdite potrebbero subire ulteriori ritocchi verso l’alto, fino a raddoppiare entro l’anno come ammesso dallo stesso Dimon. Il passivo della banca è ora al centro di un’indagine della Fed, che sta prendendo in esame anche il comportamento del direttore operativo che ha esposto l’istituto al rischio.
Anche il governo Usa starebbe valutando se queste perdite potevano essere evitate con l’applicazione della cosidetta «Volcker rule», la norma prevista dalla riforma di Wall Street, che prevede il divieto del proprietary trading, ovvero la compravendita che le banche fanno per sé e non per conto della clientela.

Tuttavia, secondo gli analisti, l’applicazione della norma presenta delle difficoltà e probabilmente non sarebbe riuscita a evitare le perdite di JpMorgan perché la linea di confine fra le operazioni condotte dalle banche meramente per profitto e quelle di hedge, ovvero di copertura per minimizzare i rischi finanziari, è molto sottile.

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